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British Corner – Wimbledon-Liverpool, un magnifico amarcord nella Coppa d’Inghilterra
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10 anni agoon
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Redazione
Un meraviglioso amarcord, quello proposto dal terzo turno di FA Cup (il primo a vedere in campo anche le big del calcio inglese). Il match tra Liverpool e AFC Wimbledon è infatti il replay della celeberrima finale del 1988, vinta a sorpresa dalla Crazy Gang sui quotatissimi avversari. Eppure tecnicamente i “nipotini” di quel Wimbledon sono i giocatori del Milton Keynes Dons. Sembra impossibile, ma è così. Spieghiamo subito l’arcano, allora.
Nel 2002 le autorità calcistiche inglesi permisero alla dirigenza del Wimbledon di spostare baracca e burattini a 53 miglia dal suo luogo di nascita. Da Londra sud, a due passi dal tempio del tennis mondiale, a Milton Keynes, cittadina nata dal nulla nel 1967 tutta centro servizi e shopping mall. Uno dei luoghi simbolo dell’Inghilterra che si è sbarazzata troppo presto dell’industria per puntare sul terziario infarcito di finanza. Senza dubbio un luogo di grande ispirazione per uno dei maestri della letteratura britannica contemporanea come J.G. Ballard e che sembra l’ambientazione ideale per il suo libro, “Regno a Venire”.
Costretti ad abbandonare il romantico ma vetusto Plough Lane nel 1991, i Dons originali dovettero chiedere ospitalità al Crystal Palace, cominciando così il distacco dal loro luogo di origine. Intanto i costi aumentavano e le presenze allo stadio diminuivano in maniera esponenziale, anche perché la squadra non era più quella pazza e vincente degli anni ottanta. Ovvero la compagine della “personcina” John Fashanu, attaccante tutto fisico e poca tecnica reso popolare da Teo Teocoli in “Mai dire Gol”, del mediano dal tackle assassino, poi diventato attore, Vinny Jones, del peperino Dennis Wise, del portierone Dave Beasant e del talentuoso centrocampista Lawrie Sanchez. Questi ultimi due sono gli eroi della iconica partita del 1988, senza dubbio il momento più fulgido della storia del Wimbledon. Il primo parò un rigore a John Aldridge, il secondo segnò il goal decisivo per battere il grande Liverpool e dar vita a una delle più gigantesche sorprese della storia della competizione. Quel giorno buona parte dei tifosi neutrali prese le parti del Wimbledon. Un fatto insolito, poiché la squadra giallo-blu non era amata da chi non vivesse nei sobborghi meridionali di Londra. Troppo rozzo, primitivo, a tratti violento (celebre la foto che ritrae Jones mentre strizza i gioielli di famiglia a Paul Gascoigne) il gioco espresso da quella banda di matti, che negli spogliatoi ne combinava di tutti i colori, tra vestiti tagliuzzati e altre amenità varie. La stessa “personcina” pronunciò parole intrise di omofobia contro il fratello Justin, primo giocatore inglese a fare outing.
Ma al di là di tutto la “Crazy Gang” ha lasciato un’impronta nel calcio inglese, in anni peraltro difficili.
Dopo le voci di un improbabile trasferimento a Dublino e tanta incertezza, la proprietà scartò l’unica cosa sensata da fare: restituire la squadra alla comunità dove era nata nel 1889, passando nell’arco di circa un secolo da realtà dilettantistica a team della massima serie professionistica. Con il colpevole avallo della federazione, preferì puntare su una nuova piazza dotata di stadio ultramoderno e un buon bacino d’utenza potenziale. Era nata la Franchigia, come in maniera spregiativa chiama l’MK Dons la maggioranza dei tifosi inglesi. Un concetto caro agli sport professionistici americani, non alla cultura sportiva inglese, quello di cambiare casa per ragioni puramente economiche. Basti pensare a “Underworld”, il capolavoro di Don De Lillo, in cui si narra del famoso match di baseball del 1951 tra Brooklyn Dodgers e New York Giants, ora entrambe compagini “spostate” in California…
La metà bella e incoraggiante di questa storia, però, è costituita dai tifosi del vecchio Wimbledon, quelli che non si sono arresi e hanno deciso di ripartire da zero. Per questo hanno creato un club tutto loro, rinominato, ovviamente, AFC Wimbledon. Meglio partire dai bassifondi delle leghe dilettantistiche che doversi piegare all’umiliazione di sostenere una squadra sradicata dal suo luogo d’origine e per giunta con un nome diverso, hanno pensato. Il motore di tutta l’iniziativa è stato un trust, per la precisione il Dons Trust. Con il ritrovato entusiasmo sono arrivate tante promozioni in serie, fino a quella dalla Conference alla ex Fourth Division, ora League Two, che ha segnato il ritorno tra le 92 squadre professionistiche della piramide ideale del football inglese. L’AFC Wimbledon, il club gestito interamente dai supporter, è ormai un esempio da seguire a livello nazionale. A loro si sono ispirati i fondatori dell’FC United, risposta comunitaria ai debiti e alla spersonalizzazione del Manchester United messa in atto dalla famiglia Glazer.
Negli anni il nuovo Wimbledon è riuscito a ottenere indietro i trofei del vecchio, ma ora ha chiesto che l’MK rinunci anche al termine Dons (il soprannome degli Originals). Intanto gli “usurpatori” volano in League One, tanto da essere favoriti per la promozione in Championship. Eventualità che non sarebbe molto gradita ai supporter dell’AFC…
Luca Manes
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