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Editoriale – Nel Mondiale giocato in casa, ecco il Brasile più europeo di sempre
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10 anni agoon
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RedazioneOra che è stato levato il sipario su questo tanto atteso Mondiale, sono bastati novanta minuti di gioco per capire due cose: giocare con l’attesa di un paese intero sulle spalle non è cosa facile, e ne sanno qualcosa i penta campioni; il Brasile non è una grande squadra. Andiamo per ordine. Questa grande kermesse dovrebbe fungere da elemento catalizzatore socio-economico di uno Stato in via di sviluppo: sono stati investiti circa 14 miliardi di dollari (dati da prendere con le pinze perché probabilmente non tengono conto dei costi sommersi) per rifare il lifting agli stadi e creare un pendant moderno alla costa est, ma le proteste per le spese folli non si placano. Giusto alzare la voce? La Coppa del Mondo e le Olimpiadi possono segnare l’inizio di un nuovo Brasile.
Dal punto di vista tecnico, la Seleçao ha lasciato a desiderare: nella partita di debutto non sono mai richiesti gli standard qualitativi dei tempi di Pelé e Rivelino, ma la fatica messa in mostra dalla squadra di Scolari lascia molti dubbi. Contro un Croazia contropiedista, messa in campo con due linee compatte in venti metri, la manovra brasiliana ha patito la densità dei reparti e non è stata scorrevole come nelle recenti uscite amichevoli: Hulk e Fred hanno solamente corso, Dani Alves è stato tamponato da Vrsaljko e Paulinho ha dimostrato di non poter essere il volante della squadra. Con Hernanes in questo ruolo e un centrocampo a tre potremmo vedere il vero fútbol bailado di una volta.
In una cosa i padroni di casa ha dato grande dimostrazione: nell’unità del gruppo. Gli storici del calcio e i sacri libri dicono che quando i verdeoro si abbracciano tutti e a lungo dopo un gol vuol dire che sono consapevoli di non essere la squadra migliore. Il Brasile del “Cals”, dei “cinque numeri 10”, non si preoccupava quando subiva gol dagli avversari perché sapeva che li avrebbe ripresi, e non celebrava spasmodicamente le reti perché sapeva che ne avrebbe fatti altri. La Seleçao del 2014 è una delle più europee di sempre: Luiz Gustavo, in fase di non possesso, si abbassa come terzo centrale mentre i terzini si alzano e i difensori si allargano, uno schema eloquente sulla paura di prendere gol. La Croazia non meritava di perdere per il gioco espresso e per come hanno tenuto il campo per più di un’ora: ma di fronte a un fenomeno – anche d’astuzia – come Neymar, non possiamo far altro che toglierci il cappello e ammiccare con invidia.
Alessandro Legnazzi
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