Pagelle Juventus
Editoriale Roland Garros – Gulbis e Raonic, quando la lingua è più forte della racchetta
Published
10 anni agoon
By
RedazioneIl tennis sta invecchiando. È una constatazione supportata dal dato record di 38 uomini di età superiore ai 30 anni presentatisi ai nastri di partenza di questo 113° Roland Garros. Il nuovo stenta ad avanzare e chi, in questo meraviglioso sport, sostiene che “il nuovo ventenne è il vecchio trentenne” di certo non può essere bollato come eretico. L’analisi che si può trarre, alla fine della prima settimana di partite che hanno visto la caduta di numerose stelle agée, evidenzia che il ricambio generazionale tennistico procede a rilento. La classe senatoria continua a battere i propri colpi perché la nuova linfa stenta a maturare.
Su tutti, però, si staccano due giocatori che, all’abilità con la racchetta, alternano senza disinvoltura una meravigliosa capacità d’affabulazione, di sicuro non meno persuasiva dei suoi contenuti. Ernest Gulbis si scatena contro i padri delle tenniste anni ’90 che stanno, a suo modo di vedere, diluendo il talento generale della WTA: “Spero che non continuino in questo modo nella loro carriera sportiva. Una donna dovrebbe vivere, come noi uomini, una vita vera, dedicata alla famiglia e ai figli, ma anche ad un lavoro che le ispirasse”. Con un tono lontano dal pacato, l’istrionico tennista lettone, ci ricorda, fra le righe, che i tempi delle varie Navratilova, della divina Lenglen, Henin, Althea Gibson (la prima tennista dell’Africa nera a vincere uno Slam), sono lontani.
Dallo “j’accuse” in stile Émile Zola di Gulbis, all’orgoglio sprezzante di un altro imberbe tennista, Milos Raonic, il talento più cristallino del circuito. Canadese di Podgorica, i suoi nonni sfuggirono dalla filastrocca jugoslava (“Sei Stati, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti e un Tito”) riferita al culto dell’oligarca-maresciallo: se si fosse trasferito più a sud, negli Stati Uniti, di lui si parlerebbe di self-made man, un uomo cresciuto da solo. Diversamente non può essere visto, lui che da bambino si allenava alle 6 del mattino o alle 9 di sera semplicemente perché l’affitto dei campi costavano meno. “Posso diventare n.1 al mondo” è l’urlo rabbioso di Milos, il prodotto dell’integrazione interazionale.
You may like
Dal Newton Heath al Manchester Utd: quando i Red Devils non erano diavoli e neppure rossi
Quella volta che… Sylvester Stallone parò un rigore alla Germania
FOTO – Il Bayern vince ancora, ma a festeggiare non c’è proprio nessuno…
VIDEO – Ricordate Diego Forlan? Gioca e segna ancora, ma nella Serie B giapponese!
18 gennaio 1953, quella volta che Amadei al 90′ fece esplodere il Vomero e piangere la ‘Signora’
Storia dell’autogol: i pionieri, i più grandi “autogoleador”