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Editoriale Inter -La grande lezione di Zanetti
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11 anni agoon
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RedazioneScrivere l’addio di Javier Zanetti, il giocatore più rappresentativo della storia interista, è un compito davvero difficile. Non nasconderò che nella stesura di quest’articolo, mi sia scesa qualche lacrima di commozione. Dopotutto, chi, come me, è abituato addirittura quasi ad identificare l’Inter con Zanetti, non riuscirà ad abituarsi rapidamente a questa mancanza.
28 luglio 1995. È una data fondamentale per la storia dell’Inter. Io avevo meno di un anno. Il Papa era Giovanni Paolo II, il Presidente della Repubblica Italiana era addirittura Oscar Luigi Scalfaro. Qualche giorno prima Pantani trionfò sull’Alpe d’Huez, vincendo la prima di una lunga serie di tappe al Tour de France, e l’Inter era stata appena acquistata da Massimo Moratti, figlio di Angelo, l’imprenditore che portò i nerazzurri sul tetto del mondo negli anni ’60. Al ritiro nerazzurro di Cavalese si presentarono tutti i nuovi arrivati, erano grandi nomi: Paul Ince, Roberto Carlos, Sebastian Rambert. All’epoca potevano giocare solamente tre calciatori non italiani. E poi c’era il quarto: Javier Zanetti. Veniva dall’Argentina, in punta di piedi, e durante il ritiro nessuno si era accorto del suo arrivo, tanto che dovette spintonare i tifosi per arrivare in campo ad allenarsi. Probabilmente era una storia già scritta: gli altri stranieri avevano già la fama alle loro spalle, e dopotutto Zanetti era solo un giovane dalle belle speranze, da mandare nelle serie minori e poi magari da ripescare qualche anno dopo. Invece non fu così.
Da subito si instaurò un legame indissolubile tra Zanetti e la maglia nerazzurra, tale da guadagnare immediatamente la fiducia del suo primo allenatore, Ottavio Bianchi. Col passare del tempo l’argentino si confermò sempre di più come una colonna dell’Inter, ed il 6 maggio 1998, a Parigi, fu il protagonista di un’incredibile vittoria per 3-0 sulla Lazio, grazie ad uno straordinario gol da fuori area, che gli fece conquistare il suo primo trofeo, la coppa UEFA. Un campione dentro il campo e fuori: ogni giorno ad allenarsi (addirittura anche poche ore prima del suo matrimonio), mai una protesta, mai una parola fuori posto, ed in poco tempo, col sudore, ha meritatamente guadagnato la fascia di capitano. Quando i successi tardavano ad arrivare, e più tardi si sarebbe scoperto il motivo, Zanetti è sempre rimasto al fianco della squadra, rifiutando addirittura club come Barcellona e Real Madrid. Ed i sacrifici sono stati ripagati poco dopo. Dal 2005, con Mancini, incominciò un’incredibile serie di successi: coppe Italia, supercoppe, e campionati. Record su record, titoli su titoli: memorabile fu il suo gol alla Roma, che consegnò di fatto all’Inter il sedicesimo scudetto, quello del centenario. Gli allenatori passavano, ma l’argentino, con la sua incredibile umiltà, è sempre rimasto al servizio della squadra. Poi, con Mourinho ci fu il salto di qualità, nel 2010, l’anno del “triplete”. Rimase indelebile il momento in cui 80mila persone lo hanno inneggiato dopo aver totalmente annullato un mostro sacro come Lionel Messi. Ed il 22 maggio 2010 Zanetti ha avuto la sua ricompensa: nel cielo di Madrid è riuscito a portare la sua squadra sul tetto d’Europa, sollevando la Champions League. Di lì il cammino interista, dopo una serie di cambi di allenatore, si è complicato, ma l’argentino è sempre stato vicino alla squadra, pronto a seguire ed a rispettare gli ordini per il bene dell’Inter. Poi nell’aprile del 2013 ha subito un infortunio al tendine, l’unico degno di nota nella sua lunghissima carriera. Ha lottato come ci ha sempre dimostrato in campo, quando a quasi quarant’anni suonati lasciava solamente la polvere a ragazzini di venti, costretti ad inseguirlo, poiché incapaci di reggere il confronto con lui. Ed è tornato. Ha fatto il suo ultimo sacrificio, perché non poteva lasciare il calcio così, non sarebbe stato da lui.
Zanetti è partito dal nulla, ma con la maglia dell’Inter ha macinato record. Ha giocato più di millecento partite. Ha scavalcato nella classifica delle presenze, leggende nerazzurre come Zenga, Corso, Baresi, Mazzola, Facchetti e Bergomi. Ha vinto cinque campionati, quattro coppe Italia, quattro supercoppe italiane, una coppa UEFA, una Champions League, una coppa del mondo per club. E noi gli saremo sempre grati per questo. Ma non solo.
Grazie Javier, per essere sempre stato vicino alla maglia, sia nei momenti tristi, perché, purtroppo, ce ne sono stati tanti, che in quelli di gioia. E per fortuna, siamo riusciti a compensarli.
Infine, grazie capitano, perché ci hai insegnato che i valori, quelli veri, non si comprano, ma si vivono giorno per giorno.
Francesco Ippolito
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