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GARBAGE TIME – Kevin Durant, un grazie a mamma e Charles
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11 anni agoon
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RedazioneQuando si racconta una storia, non bisognerebbe mai partire svelandone il finale. Ma quando è solo conoscendo il finale che si può apprezzare tutta l’intima bellezza di un racconto, ciò si rende inevitabile.
6 maggio 2014, Kevin Wayne Durant, è l’MVP (most valuable player) della stagione 2013/2014 per la NBA, la lega di basket professionistica americana. Con oltre 32 punti di media a partita, ed un record in carriera di 5,5 assistenze, il numero 35 di Oklahoma City, ha strappato lo scettro di miglior giocatore della Lega, al “Re” LeBron James, che lo aveva conquistato per 4 volte nelle ultime 5 stagioni. Davanti a giornalisti e compagni di squadra, il giovane Kevin, visibilmente commosso, dedica uno dei discorsi più strazianti e sinceri, alla mamma Wanda, definita come la vera MVP, donna dalla straordinaria tempra ed alla quale certamente, Durant deve tutto, o quasi.
La strada per arrivare sul tetto dell’NBA, inizia però molto prima, precisamente a Washington DC, il 29 settembre 1988, a conti fatti, vista la giovane età, neanche così tanto prima.
Per poter comprendere a pieno il senso del suo discorso, le lacrime, la voce rotta dal pianto e lo sguardo del fenomeno dei Thunder, è inevitabile fermarsi un attimo e concentrarsi su di un breve excursus storico. Come molti dei giocatori che primeggiano nell’NBA, ma forse sarebbe il caso dire, nello sport, il giovane Kevin, cresce in condizioni di vita tutt’altro che semplici ed agiate. Abbandonato dal padre, ancora prima del compimento del primo anno d’età, Durant, cresce con il fratello Tony, la mamma Wanda, che fa la postina e la nonna Barbara. I soldi scarseggiano, e solo gli incredibili sacrifici di mamma Wanda, consentono alla famiglia di potersi letteralmente “sfamare”. Due ragazzi destinati alla strada, strappati alla criminalità da una donna che ha speso tutte le proprie forze, nonostante i soli 21 anni di età, per cercare di ribaltare ed avere la meglio nei confronti di un destino che sembrava già disegnato per lei e le sue due uniche ragioni di vita.
Quella di mamma Wanda, non è l’unica figura decisiva per la crescita, lo sviluppo e la definitiva maturazione del Kevin Durant uomo, ancora prima che del Kevin Durant giocatore. Poco più che undicenne, entra a far parte della Prince George Jaguars, squadra di leghe giovanili estive (AAU), ed è qui che conosce Charles Craig, il suo allenatore. Craig è il primo ad accorgersi del talento cristallino di quel ragazzo introverso, ossuto e con una determinazione senza precedenti. Tra i due s’instaura presto un legame profondissimo, quasi viscerale, che si interromperà solo con la prematura morte del suo allenatore, quando, per sedare una rissa, viene raggiunto da tre colpi di pistola, che lo lasciano privo di vita sull’asfalto di Prince George. Charles aveva solo 35 anni. In suo onore, Durant decide di indossare dalla stagione successiva il numero 35, che non svestirà mai nel corso della sua carriera, né alla Montrose Christian Academy, alla Oak Hill Academy, alla National Christian Academy, né negli anni del liceo ai Texas Longhorns, né nella NBA, dove esordisce il 31 ottobre 2007, con la maglia dei Seattle Supersonics, oggi divenuti Oklahoma City Thunder.
Durant, viene “chiamato” come secondo al draft del 2007, alle spalle di Greg Oden, scelto con la numero 1 dai Portland Trail Blazers. Quello con il draft è sempre stato un rapporto piuttosto complicato per la squadra dell’Oregon. Nel 1984, infatti, gli Houston Rockets, chiamarono alla numero 1, un centro nato a Lagos, in Nigeria di nome Hakeem Olajuwon, che aveva stupito tutti, nei suoi anni di college a Houston. La seconda chiamata era stata asegnata dalla sorte proprio ai Portland Trail Blazers. L’allora General Manager, Stu Inman, forse in preda ad un raptus di follia, chiamò il giovane Sam Bowie da Lebanon Pennsilvanya. La terza scelta, quella dei Chicago Bulls, fu Michael Jeffrey Jordan, non credo ci sia bisogno di aggiungere altro..
Va detto però, per correttezza, che alla vigilia di questo secondo draft, quello del 2007, tutti gli addetti ai lavori, davano Greg Oden, il centro dominante di Ohio State, come il più accreditato per la pick numero 1. Solo la sfortuna, ed una serie sconfinata di infortuni, non hanno mai permesso al lungo di Portland di mettere in luce tutto il proprio talento cristallino, disputando solamente 82 partite nel corso delle sue prime 5 stagioni NBA.
L’impatto sulla lega è da subito sensazionale, Durant chiude la prima stagione con cifre da record: 20.3 punti di media a partita, 4,4 rimbalzi, con il 43% dal campo ed oltre l’87 dalla linea del tiro libero, cifre che, ovviamente, gli valgono il premio di matricola dell’anno. Da li, inizia, stagione dopo stagione, la crescita costante ed esponenziale del giocatore: intelligente, educato, professionale, umile, altruista e leale, il sogno di ogni allenatore. Nelle sue prime 7 stagioni da professionista “KD35” colleziona una serie di record impensabili: 5 volte NBA All Star (MVP della competizione nel 2012), 4 volte miglior realizzatore della lega, Atleta maschile dell’anno nel 2010, quando conduce la nazionale americana al titolo mondiale in Turchia, conquistando anche il premio di Miglior giocatore del torneo, ed ora anche MVP della lega a solo 26 anni (non ancora compiuti). Per completare, quello che sin qui è un percorso da vero campione manca solo l’Anello NBA, sfiorato nel 2012, e conquistato invece dai Miami Heat dei “Bg Three”, grazie al 4-1 nell Finals, ma siamo sicuri che anche per quello non manchi più, ormai, molto..
Per rendere l’idea dell’importanza e del credito di cui gode, il ragazzo di Washington, all’interno della lega, riportiamo una serie di elogi, rivolti proprio a Durant, da una serie di colleghi, allenatori ed ex giocatori.
LeBron James (suo rivale per il primato come migliore giocatore del pianeta): “E’ davvero bravo, giovane, sa fare tutto. Un giorno toccherà a lui tirare il movimento”.
Scott Brooks (allenatore di Durant a OKC): “Amo Kevin Durant. Amo tutto quello che sa fare”.
Rick Adelman (allenatore ed ex giocatore): “Ha tutte le capacità del mondo e continua a migliorare”.
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