Amarcord
Fuga dagli stadi di calcio: il calo degli spettatori in Europa
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11 anni agoon
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RedazioneAl principio furono le pay per view: la possibilità di vedere le partite tranquilli nel salotto di casa allontanò una parte dei tifosi dallo stadio. Le famiglie volevano tenere i propri figli lontani da uno stadio che, per molti, rappresentava un’alcova del tifo violento. Altri si giustificavano dicendo che la distanza e i costi dei biglietti e delle trasferte si facevano sempre più pesanti dal punto di vista economico.
Le varie crisi che hanno colpito la struttura stessa della società hanno ridimensionato la voglia di calcio, allontanando i tifosi da un “mondo dorato”, dove il valore del denaro non è più riconosciuto ed è sfalsato rispetto alla vita quotidiana. I cosiddetti “sprechi” del calcio hanno minato la fiducia dei tifosi.
Prendiamo l’Italia come esempio d’un calcio che riscuote sempre meno simpatie. Negli ultimi anni il nostro movimento calcistico è in involuzione: scarsi risultati in Europa, debiti delle società in crescita (circa 3 miliardi di Euro in totale per le società professionistiche), qualità del massimo campionato in discesa (in virtù della discutibile scelta di mantenere la Serie A a 20 squadre). A questi problemi si aggiunge il capitolo delle strutture fatiscenti che non valorizzano gli eventi calcistici.
A fronte di un’offerta televisiva scintillante, di una scena multimediale che moltiplica le possibilità di fruizione delle partite, e di un interscambio sempre più ricco tra calcio e scommesse online, gli stadi italiani sono, per la maggior parte, vecchi e incapaci di rispondere alle esigenze di spettatori che innanzitutto ricercano confort e divertimento.
Inoltre si pone la questione della rivalutazione delle zone in cui sorgono le strutture: una diatriba che sconta le lungaggini della burocrazia e che coinvolge spesso le amministrazioni locali e le società, rallentando lo sviluppo di nuovi progetti. Gli stadi di proprietà sono dunque un altro degli elementi che compongono il puzzle complicato della crisi del calcio italiano.
Accanto a questi problemi puramente strutturali, dobbiamo considerare anche la crisi d’immagine che il calcio italiano sta vivendo: i vari scandali che ne hanno minato la fiducia in alcune fasce della popolazione (da Calciopoli allo scandalo scommesse); un giornalismo spesso di rottura che rende il calcio assimilabile più ad un reality show che ad un evento sportivo (l’ultima soap opera Maxi Lopez-Icardi ne è buon esempio); e, come dicevamo sopra, una crisi economica che rende difficile guardare al calcio senza una certa amarezza. Un calcio anacronistico e dalle spese folli, che allontana il tifoso medio dagli stadi.
Il risultato è che nell’anno 2013/14 le presenze negli stadi italiani sono calate di quasi un milione (900.000 spettatori in meno rispetto alla stagione precedente). L’affluenza media è di 22.591 tifosi, il che ci pone al quarto posto nella graduatoria europea (dietro l’inarrivabile Germania con le sue 42.624 presenze, seguita dalla Premier che si attesta attorno ai 35mila, e dalla Spagna a 28mila).
Cosa si può fare allora per invertire la tendenza e per riportare la gente negli stadi italiani? Da seguire sono i modelli inglesi e tedeschi: stadi ultra innovativi che creano entrate non indifferenti promuovendo anche l’immagine della città e dei quartieri in cui sono costruiti; tifoserie controllate, con pene gravi per chi crea tumulti attorno agli eventi sportivi. Inoltre, per ridurre le spese, si potrebbe investire nelle giovanili, seguendo l’esempio tedesco e spagnolo, riducendo i costi legati all’acquisto continuo di giocatori dall’estero e rilanciando il movimento calcistico italiano che vive un momento di flessione.
Si potrebbe pensare, a questo punto, che la crisi del calcio sia cosa puramente italiana. Invece si scopre che anche in Paesi come Spagna e Francia i tifosi si stanno allontanando sempre più dallo stadio. Più che ai risultati (la Spagna domina ormai da anni gli scenari europei e i nuovi club ricchi di Francia, PSG e Monaco, hanno portato tanti campioni in Ligue 1), ciò è dovuto, come in parte in Italia, alla massiccia crisi economica che ha colpito l’Europa.
La Spagna, un anno fa, ha rischiato il default economico, tirata giù dalla crisi greca: solo l’Europa ha potuto salvare un Paese che per anni aveva vissuto un vero boom economico, al quale però non s’era accompagnato lo sviluppo di strutture di controllo adeguate. Le coscienze degli spagnoli sono state colpite nello scoprire che le banche spagnole prestavano facilmente immense somme di denaro ai club della Liga: il debito del calcio spagnolo ammontava a 5 miliardi di euro.
Gli acquisti di Ronaldo, Bale, Neymar a prezzi esorbitanti hanno sconvolto quella fascia di cittadini che non vive il “futbol” come una religione. Il risultato è stata una flessione del 2,4 percento nelle presenze allo stadio rispetto alla “temporada” precedente.
La Francia ha invece vissuto il caso “Ibra”, con la politica francese che ha reagito duramente agli stipendi shock che il PSG ha garantito ai suoi giocatori. 18 milioni ad Ibra e l’opinione pubblica francese s’è scatenata, colpita da un tale dispendio di soldi in un periodo in cui all’Europa tira la cinghia. Insomma, l’opinione pubblica è frustrata dallo scarto che esiste tra vita quotidiana e il mondo dorato del calcio.
Se guardiamo al di fuori del continente, la situazione non migliora. Ci sono altri momenti che hanno creato un calo di preferenze nell’opinione pubblica: pensiamo ai prossimi Mondiali in Brasile, o all’edizione del 2022 che si terrà in Qatar. Condizioni di lavoro difficili nel primo caso; addirittura disumane nel secondo. In Qatar sono morte 400 persone per costruire strutture destinate ad un momento in teoria gioioso e di festa.
Tanto che la FIFA, dopo vari tentennamenti, ha deciso di aprire un “dossier”, spinta anche dalle crescenti pressioni dell’opinione pubblica che si schiera decisamente dalla parte dei diritti dei lavoratori, dicendo “NO” ad un Mondiale costruito sul sangue di lavoratori sfruttati. E allora c’è tanto da fare per recuperare la fiducia perduta: lo sport più amato sarà capace di ricambiare di nuovo l’amore dei tifosi?
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