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Editoriale Inter – ThohInter cuore e acciaio
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11 anni agoon
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RedazioneCon la telenovela indonesiana giunta finalmente a compimento il 70% del pacchetto quote FC Internazionale passa nelle mani di Erik Thohir, a sua volta proprietario di maggioranza di Mahaka Group e di altre franchigie sportive quali il D.C. United e il Persib Bandung, nonché del 15% del Philadelphia 76ers. Il rimanente 30% è quello, comunque più che simbolico, che resta saldamente ancorato alle origini, alla storia, alla milanesità della famiglia Moratti. Certo, la Madunina con questoperazione finanziariamente inevitabile si internazionalizza, e non poco, ma Patron Massimo sarà ancora lì, allinterno del nuovo CdA a garantire i valori della tradizione.
Ma allatto pratico che cosa cambia in seno alla società di Corso Vittorio Emanuele II? Nel presente, tecnicamente nulla, considerando che ogni figura per la stagione 2013-2014 rimarrà al proprio posto e che per lannata in corso con Walter Mazzarri (e il suo staff) nuovo allenatore lobiettivo di minima è rilanciare la squadra ai vertici della Serie A dopo lo scivolone della scorsa stagione. In prospettiva tantissimo, perché Thohir è un imprenditore figlio della contemporaneità, è uno di quelli che vuole vincere badando però alle spese, uno che cerca, anzi pretende, garanzie dinvestimento prima di ogni operazione di mercato. Uno che comunque soldi da spendere, ne ha. E di conseguenza anche tanto potere decisionale. Un tycoon allamericana insomma, ma con background oculatamente orientale con la fortuna, per il popolo di fede nerazzurra, di essere innamorato del calcio e dello sport in generale.
AllOlimpico di Torino la piovosissima serata domenicale ha accolto questo passaggio di consegne tra Moratti e Thohir, ma la presentazione di tale evento epocale non nasceva sotto i migliori auspici. Con Campagnaro e Ricky Álvarez assenti per infortunio lInter viene a perdere i suoi giocatori finora più importanti, quelli che offrono le migliori garanzie per i reparti difensivo e offensivo, inoltre lapproccio iniziale degli uomini di Mazzarri al match ricorda le carenze psicologiche della scorsa dannata stagione. Il Toro è una squadra solida, compatta e organizzata e Cerci è una forza della natura. LInter abulica e frastornata dei primi minuti produce un rigore a sfavore e unespulsione, che con buona pace del tecnico di San Vincenzo ci sta tutta. Carrizo compie il miracolo momentaneo e cancella la striscia positiva del riccioli doro granata dagli undici metri, ma il problema non è quello. La contingenza fatale dei nerazzurri è ovviamente linferiorità numerica a partire dal 5° minuto, lassetto difensivo statico e inizialmente malassortito e gli errori nello scalare sul versante sinistro tra Guarin, Jonathan e Rolando. Autentica dead zone nella quale insiste il Toro per tutta la prima mezzora facendo quello che vuole.
Ma questa Inter ha innanzitutto un cervello, che è la cosa fondamentale, un leader fuori dal campo che urlando e sbraitando come da consolidata consuetudine fin dai tempi di Livorno e Reggina dimostra di farsi trovare tatticamente pronto in qualsiasi situazione. Difesa a quattro e interni di centrocampo catechizzati a dovere nel triplo compito di centrocampisti, guardaspalle difensivi e punti di riferimento per le ripartenze e la fase offensiva in genere in aiuto di Palacio che nel frattempo sta facendo reparto da solo. Poi tanto cuore e soprattutto polmoni dacciaio per rincorrere e frenare un Toro arrembante, costruire lo scudo difensivo, organizzare e gestire spazi e gioco fino a pervenire addirittura a unisperato vantaggio sullasse Belfodil-Palacio che, due contro tutti, perfora magicamente la difesa dei padroni di casa. Carattere e mentalità, questi gli elementi costitutivi della nuova Inter di Mazzarri. Il genio sfrontato che ha sostituito Taider con Belfodil pensando à la Liedholm di poter vincere in dieci contro undici. Accarezzando limpresa, non fosse stato per Bellomo (corteggiatissimo dallInter, manco a dirlo) allultimo sospiro con Carrizo che si riprende ciò che aveva regalato.
Sfida che meritava di essere giocata ad armi pari. Scommessa Kovacic che destava assoluta curiosità e che invece non è stata, lui che nato trequartista nella Dinamo Zagabria è ben presto diventato mediano, crescendo nel ruolo e facendosi conoscere al mondo.Lui che fatica ad essere un interno totale come lo vorrebbe Mazzarri e che in una posizione più avanzata potrebbe far valere le sue mirabili doti di dinamismo dribblante e uomo assist. Questi gli unici veri rammarichi di un match straordinariamente vibrante in una Serie A non così loffia come si vuol far credere. Meglio concentrarsi in definitiva su quei meccanismi in fase difensiva ancora da oliare, o sulle sconcertanti ingenuità da correggere e/o evitare (Wallace, beata giovinezza!), e non sul paracalcistico di alcune decisioni arbitrali. Infuriarsi è umano, troppo umano. Qua servono attributi a volte sopra lumano. Cuore, acciaio e nervi saldi, Mazzarri.
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