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Novellistica pallonara: i fratelli Bohr, numeri sia in campo che fuori…
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11 anni agoon
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RedazioneLa fisica non l’ho mai amata, ma che Niels Bohr avesse proposto un credibilissimo modello atomico lo ricordavo piuttosto bene. Ed anche che, questo figlio di Copenaghen, fosse stato insignito del premio Nobel per la fisica: per esser precisi, nel 1922.
Ciò che non avrei mai immaginato, è che l’eccelsa mente in questione si dilettasse anche tra i pali. Per fortuna della scienza, fu uno svago di breve durata: nell’Akademisk Boldklub, nove titoli nazionali in una bacheca ormai impolverata, para per una sola stagione. Nel 1905, gli è fatale un’amichevole contro una selezione tedesca di Mittweida: velleitaria conclusione dalla distanza, Niels resta immobile e la palla entra in rete. Negli spogliatoi, le scuse ai compagni: «In quel momento pensavo ad un problema matematico». I guantoni non li indosserà più.
Ma se il maggiore dei fratelli Bohr è completamente assorbito dai numeri, c’è Harald – più giovane di Niels di un paio d’anni – che invece col pallone tra i piedi se la cava discretamente. Mediano, anch’egli in forza all’AB e con un futuro da brillante matematico, nell’ottobre del 1908 si ritrova a Londra: il calcio debutta ufficialmente ai Giochi Olimpici dopo tre «dimostrazioni», e Harald è chiamato ad indossare la maglia della Danimarca.
Lui non sfigura: doppietta all’esordio, contro una rivedibile edizione della Francia annichilita senza patemi; e presenza in finale, che gli vale la medaglia d’argento, poiché Chapman (Frederick, non il ben più noto Herbert) e Woodward regalano il successo al Regno Unito.
Un paio d’anni più tardi, la laurea. Che lo indusse ad accantonare il pallone per dedicarsi agli studi concernenti la distribuzione degli zeri in una funzione zeta di Riemann, in relazione a cui partorì anche un teorema, e sulla serie di Dirichlet. Inutile dire che io sarei rimasto fedele al cuoio ed alle sue cuciture.