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Editoriale Confederations – Uruguay, che Salto!
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11 anni agoon
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RedazioneL’Uruguay son 3 milioni e mezzo di abitanti, fate conto le province di Milano e Cremona assommate, stipati per la maggior parte nella capitale, Montevideo. E nella sua zona metropolitana: considerata anche quella, si raggiunge una cifra non molto distante dai due milioni. Ricapitolando: Montevideo è la città più popolosa del Paese, con la seconda che arriva dodicesima. La seconda si chiama Salto: tenetelo a mente, perché prima c’è da fare una riflessione.
Ora, questi uruguaiani son pochini, ma a tavola si nutrono prevalentemente di due cose: carne, tanta carne, come in uso anche nelle regioni attigue, e calcio. Non essendo la carne propriamente gratuita, diciamo che sulle tavole dell’Uruguay l’unico elemento che non manca mai è il fútbol. Chi obietta che non sia commestibile, evidentemente ha una visione distorta del calcio e di tutto ciò che vi ruota attorno.
Gli uruguaiani, invece, sanno bene quanto conti sapere prendere a calci una sfera di cuoio: impossibile spiegare altrimenti le quindici Coppe America in bacheca, e i quattro titoli mondiali vinti. In Sud America, per tirar fuori qualche numero, hanno vinto una «Copa» in più degli acerrimi rivali argentini, e quasi doppiato il Brasile – che ha, oggi, 190mila abitanti in più. Precisazione sui Mondiali vinti: in teoria, son due (1930, il primissimo da padroni di casa, ed il «Maracanaço» del ’50), ma al «Centenario» di Montevideo ci tengono a far notare che loro, quelli in maglia celeste, han vinto anche i primi due tornei calcistici in salsa olimpica. Ergo, per quattro volte si son dimostrati i più forti del globo in quello sport che prevede di segnare un gol in più degli avversari, undici contro undici e una palla di cuoio.
Detto della grandezza calcistica di questo popolo, clamorosa se raffrontata ai numeri, torniamo a Salto. «Itú», in lingua guaraní. Che poi è lo stesso idioma in cui la parola «Uruguay» significa: «il paese degli uccelli colorati». Ma, dicevo di Salto: appena scollinata quota centomila anime, stanziate al confine con l’Argentina, ecco saltare all’occhio qualche nascita calcistica, più o meno eccellente. C’è José Leandro Andrade, «la Maravilla Negra», straordinario mediano campione del mondo nel 1930, e c’è Fornaroli, «el Tuna», mai a segno con la Samp in campionato.
Se il primo, che merita indubbiamente una narrazione a parte, è venuto al mondo all’alba del Novecento, il secondo è saltato fuori nel 1987. Anno in cui Salto ha prodotto un altro paio di discreti attaccanti. Be’, discreti… Diciamo pure straordinari. Edinson Cavani e Luis Alberto Suárez, nati a 21 giorni di distanza nell’inverno di quell’anno fortunato. Poi Salto l’han lasciata presto: a dodici anni Edinson, cooptato dal Danubio, a quattordici Luis, finito al Nacional, che già al tempo, lasciava intrevedere un quadro comportamentale preoccupante anzichenò: 15enne, espulso, manifesta il proprio disappunto spaccando il naso dell’arbitro con una testata. «Sanguinava come una vacca» quello col fischietto, racconta chi aveva la – dubbia – fortuna di esser presente.
Il grande Salt… ehm, salto, l’han fatto entrambi però. Ed eccoli, oggi, con la «Celeste» alla Confederations Cup.
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