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Editoriale Palermo – Miccoli addio?
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12 anni agoon
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RedazioneCon la pennellata su punizione al 30 del secondo tempo, Fabrizio Miccoli ha chiuso da par suo, con ogni probabilità, lavventura in rosanero. Un addio che meritava ben altro canovaccio che un triste 1-3 casalingo, ma che è maturato in una cornice degna del suo estro. Erano accorsi in molti, solo per salutarlo. Il Palermo era già retrocesso e senza il particolare delladdio al capitano, gli spalti sarebbero rimasti desolatamente vuoti. Senza quel piccolo particolare, forse, gli spettatori non avrebbero esitato a fischiare gli imbelli protagonisti di una retrocessione scellerata. Ed invece hanno applaudito. Per compassione verso gli altri, ma per riconoscenza verso di Lui.
Miccoli sè battuto e sbattuto per i novanta minuti. Quel gol lo voleva a tutti i costi. E, come i cavalli di razza è riuscito a raggiungerlo. Se ne andrà tra reciproci rimpianti. I tifosi più viscerali ne implorano la permanenza, convinti che in serie B farebbe la differenza. Forse hanno ragione, nel calcio tutte le opinioni sono legittime più che altrove, ma ritengo che il Romario salentino farebbe meglio a trasferirsi altrove. Nel suo interesse. Si merita ben altri palcoscenici. Anche puramente decorativi e remunerativi (in Arabia, per esempio, è assai richiesto e stimato) dove potrebbe divertirsi a sciorinare senza pressioni il suo talento. Il campionato di seconda serie non è per i geni come lui. I difensori avversari, già tuttaltro che teneri in A, lo martellerebbero senza remissione e su quelle gambe già martoriate avrebbero vita facile. Sarebbe umiliante. E questo non se lo merita.
Già questanno di umiliazioni ne ha dovute patire. Spesso lasciato ad immalinconire in panchina. Qualcuno assumendo come proprio il teorema Zamparini aveva deciso, a prescindere, che avesse soltanto 20 di autonomia. Ed andasse utilizzato a termine. Spesso, da subentrante. Privandolo delle emozioni dellentrata in campo con la fascia, i rituali di inizio partita, lo scambio dei gagliardetti, la scelta del campo, ne spegneva ogni voglia ed infatti mai, da sostituto, ha inciso sulle gare. Da titolare, al contrario, ne ha vinte alcune da solo. Col Chievo lapoteosi.
La bubbola del Miccoli a mezzo servizio è nata già allepoca del secondo Delio Rossi. Dopo aver trascinato, i compagni a sfiorare la classificazione in Champions, quando nella decisiva gara con la Sampdoria giocò e segnò da infortunato, lanno successivo cominciò ad entrare in collisione con lallenatore, che soprattutto nel ritorno spesso e volentieri lestrometteva. Non partecipò alla finale di Coppa Italia e questo a molti sembrò oltrecchè un affronto, un clamoroso masochistico autogol.
Dal dopo-Inter comincia la parabola discendente nei rapporti con la società. Come sempre è accaduto tra Zamparini e i giocatori che ha fortemente voluto (Zauli, Corini, Liverani), ad un certo punto il presidente sembra disamorarsi e smanioso di disfarsene. Quindi, da un lato giungono le carezze, le attestazioni formali di stima, dallaltra le stangate verbali e le pressioni perché giochi sempre meno. Anche in questa disgraziata stagione è stato così. In scadenza di contratto, il bomber di
Nardò non ha ricevuto quelle rassicurazioni che forse si aspettava: carattere puntiglioso, Miccoli se lè presa ed ha risposto per le rime. Zamparini nel pieno della crisi lha accusato di non aver dato quanto ci si aspettava, dimenticando appunto desserne stato proprio lui tra i propugnatori dellutilizzo parziale. Come puoi dire a un calciatore che è bolso e può giocare solo ad intermittenza e poi affermi daver puntato su di lui rimproverandolo di non aver dato il massimo? Boh. La contraddizione in termini è evidente, ma, per la logica del patron friulano che spesso parla a ruota libera, perfettamente coerente.
Ora, a campionato finito e salvezza sfumata, Zamparini gli consiglia di cambiare aria, approfittando delle vicende extracalcistiche che lhanno riguardato. Prima aveva ventilato un possibile, eventuale rinnovo del contratto, a cifre ovviamente inferiori e con utilizzo intermittente. Meglio uscire dallequivoco, caro Fabbrizio. Tagliare i ponti e scrivere una nuova storia.
In conferenza stampa, il Romario del Salento ha usato toni commossi. E sempre stato così: è questa la sua forza e la sua debolezza. Quella schiettezza e lentusiasmo un po infantile che ogni tanto procurano cadute di gusto (esempio lo scippo della fascia di Capitano ereditata da Liverani infortunato e non più restituita) ma che lo fanno amare dalla gente, alla quale si dona senza mezzi termini se si sente amato. Una vulnerabilità che lo porta a non filtrare le conoscenze, ritrovandosi spesso in situazioni imbarazzanti. Come il suo idolo Maradona, del quale acquistò allasta lorecchino e il cui nome diede al figlio Diego. Amante del wrestling (ha festeggiato il centesimo gol con la maschera di Rey Misterio), del poker alla buona e dei tatuaggi vistosi. Lui è così. Prendere o lasciare. Non è un ruffiano. Ha litigato con Moggi per questo. Non è mai stato in una grande squadra per restarci, anche se ha giocato le Coppe Europee. Ha vissuto una carriera ricca di soddisfazioni (le Coppe, la Nazionale), ma inferiore alle sue possibilità. Si prende le proprie responsabilità, ma soffre la concorrenza. Sammoscia facilmente se non è la prima donna. Sesalta se si sente importante.
E importante nella storia rosanero lo è stato come nessuno. Primatista di presenze (165) e di gol (74) nella massima serie. Sei anni da protagonista, una fama che la retrocessione appanna ma non oscura. Ed adesso il congedo, che arriverà puntuale. Ciao, Fabrizio. Ad maiora.
(www.antoninopavone.it)
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