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Editoriale Besana – Mennea, Sit tibi terra levis, ti sia lieve la terra
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12 anni agoon
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RedazioneSo benissimo che in questo spazio si parla prevalentemente, se non esclusivamente, di calcio. Ma la morte di uno straordinario atleta come Pietro Mennea – oro nei 200 agli Europei del 74, campione olimpico nell80 a Mosca sulla stessa distanza, primatista mondiale alle Universiadi di Città del Messico del 79 in 1972 – merita di essere celebrata come si conviene. Io confesso di sentirmi inadeguato, e allora chiedo conforto al grande Gianni Brera, attingo alle pagine darchivio del Maestro che non è più.
Quando – soltanto un anno dopo lannunciato ritiro (1981)- , il velocista di Barletta tornò in pista, Brera lo difese dalle critiche e su la Repubblica scrisse un memorabile articolo associando il divino scorfano (Mennea agli occhi del Gioann tale era, con un sontuoso ossimoro) a Livio Berruti, il campione olimpico di Roma 60 (il vero abatino delloriginale giornalista pavese) e al meno celebrato Sergio Ottolina che nel 64 aveva detronizzato proprio Berruti del primato europeo.
Sentite Brera, su Berruti: E vercellese di risaia, come io sono pavese di risaia. ( ) Ho adorato Berruti secondo i precisi dettami del culto delluomo, che esige lealtà e riconoscenza. In verità vi dico di aver raramente visto atleti volitare nello stile coordinato e raro di questo abatino che per mero orgoglio fu ancora primo dei bianchi e degli europei sui 200 metri di Tokio per i quali sembrava meglio Sergio Ottolina.
A proposito: Ottolina era un milanese di quelli buoni, smargiasso la sua parte, però generoso e niente affatto imbarazzato dallepos familiare (Quando mio padre faceva il cameriere in piazza Missori, veniva chiamato Saetta). Correva secondo che gli consentiva una morfologia passabile, non bislacca: osservandolo frontalmente, avresti però rilevato che correva su due linee incrociate, quasi preannunciasse il miracolo sbilenco di Pietro Paolo Mennea da Barletta.
Mennea, il divino scorfano. Di modeste origini, papà sarto, mamma casalinga: Correva su due linee scandalosamente divise. Visto frontalmente, pareva che in partenza si fosse portato via il blocco e lo reggesse ora, assai buffamente, fra i glutei. Emanava da lui lorrendo fascino della bruttezza costituzionale. E complicava le cose (almeno a me) il saperlo povero (come me) e così rabbiosamente deciso a redimersi soffrendo. Una volontà spaventosa lo animava al di là di ogni convenienza estetica . Cruda, purissima filosofia breriana: della povertà, decorosamente, rabbiosamente vissuta, si nutre lepos del futuro campione.
Ancora Brera: Leggevi sulla sua faccia i tremendi ricordi della fame ereditaria: laveva e lha tutta sconvolta da piani astrusi. I suoi occhi non piccoli ma neri, luciferini, mandano languidi guizzi da occhiaie incavate, sopra gli zigomi forti e sbilenchi. La boccca è larga, distorta, sopra un mento curiosamente deviato. ( ) Mennea non è dunque uno scattista naturale. È un miracolo di sintesi tecnica e morfologica. Dal misterioso sincronismo dei suoi arti in apparenza slegati fra loro viene espressa una armonia che si traduce in tempi clamorosamente rari su questa terra.
Pietro Paolo, lanatroccolo nero della favola – ma superbo cigno nella realtà degli stadi – è stato davvero un miracolo di volontà e tenacia. Finita la carriera, si è buttato negli studi, nellimpegno civile e politico: ha conseguito tre lauree (!), è diventato parlamentare europeo, si è speso per il suo amato Sud, non sempre adeguatamente compreso dagli stessi corregionali. Per stare in àmbito breriano, voglio dirti, caro Mennea: Sit tibi terra levis, ti sia lieve la terra.
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