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3 is the Magic Number

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Se 3 è il numero perfetto, allora non è un caso che sia quello di Paolo Maldini…

L’oratorio

Il primo incontro tra Paolo Maldini e il pallone avviene sul campetto di un oratorio: quando gli domandano in quale ruolo vorrebbe giocare, lui risponde che non lo sa e allora…

Io sono nato come attaccante perché quando ho fatto il mio provino al Milan, giocando all’oratorio, mi chiesero ‘Che ruolo hai’? Risposi ‘Non lo so’. ‘Ti va bene ala destra? C’è questo posto libero’. Ho giocato per 4 anni in quel ruolo.

Gli insegnamenti di papà Cesare

Tifava Juve da ragazzino Paolo, quasi un tradimento da parte del figlio di una bandiera milanista, ma papà Cesare non ha mai forzato le sue decisioni, lasciandolo libero di scegliere ed insegnandogli a diventare un uomo prima che un calciatore… 

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Mio padre non mi ha mai spinto, né ha preteso per me scorciatoie. A 10 anni arrivo al Milan e il tecnico gli chiede: ‘Signor Maldini, dove lo faccio giocare?’. ‘Ah, non so, veda lei’, disse, e andò in un angolo della tribuna, il più lontano possibile dal campo. Mio padre diceva: ‘Comportati bene, sii onesto, impegnati sempre al massimo e il 90% è fatto’.

Raccomandato? Macché!

Con Capello in panchina, Maldini ha vinto tutto, ma il primo incontro tra i due risale ai tempi in cui il tecnico di Pieris allenava il giovanissimo Paolo nella Primavera del Milan… A chi gli domandava se facesse giocare il ragazzo in quanto figlio del grande Cesare, Don Fabio rispondeva così: 

Quando Paolo Maldini era nella squadra Primavera, a 16 anni giocava con i 18enni. Io stavo facendo il corso da allenatori e, finita una partita, un mio collega venne da me e mi chiese: ‘Fabio, ma fai giocare Maldini perché è il figlio del grande Cesare?’. Io lo guardai male e gli dissi che per prima cosa mi stava offendendo, perché non ho mai voluto saperne di raccomandati. Poi gli dissi che ne avremmo riparlato dopo qualche anno di Paolo.

Le scarpe troppo strette

Se esordisci in Prima Squadra a 16 anni e a gettarti nella mischia è uno come Niels Liedholm, mica Oronzo Canà con tutto il rispetto, allora vuol dire che non sei come gli altri, che sei speciale, un predestinato… Quando il Barone lo manda in campo a Udine al posto dell’infortunato Battistini, Paolo quasi non ci crede, ma l’emozione dell’esordio non è l’unica incognita con cui deve fare i conti: gli scarpini che calza sono troppo stretti per i suoi piedi, glieli hanno prestati…

L’esordio fu una sorpresa per tutti e per me. A causa della nevicata non avevo le scarpe da ghiaccio a Milanello e me le ero fatte prestare da un giocatore che aveva due numeri in meno di me. Sono arrivato a Udine con le unghie completamente andate. Sono andato in panchina con le scarpe non allacciate e quando Liedholm mi ha detto di entrare non ho sentito più niente.

Playboy o calciatore?

Il primo impatto con Sacchi non fu dei più morbidi per il giovane Paolo, subito posto di fronte ad un categorico aut aut dal Vate di Fusignano… 

Lui è arrivato al Milan e non ci eravamo ancora conosciuti. Era il 1987, ero in vacanza in Sardegna e all’epoca non c’erano ancora i cellulari. Quando sono tornato, ho trovato sulla bacheca un numero telefonico, era quello di Sacchi. Lo chiamai, in pantaloncini, da una cabina telefonica. Mi disse ‘Sei a un bivio, devi scegliere se diventare playboy o calciatore’. Mi dissi ‘Cominciamo bene!

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