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VAR: AIUTO O OSTACOLO?
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6 anni agoon
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RedazioneDopo i recenti episodi verificatisi durante la finale di Supercoppa Italiana, si è riaperta la diatriba sul VAR, sul suo utilizzo e, soprattutto, sulla disparità di intervento che è poi il vero aspetto che suscita le maggiori polemiche.
Intanto partiamo dalle basi: come funziona il VAR?
Andando a leggere il regolamento del giuoco del calcio (https://www.aia-figc.it/download/regolamenti/reg_2018.pdf) regola 5 – L’Arbitro paragrafo 4 troviamo la spiegazione su come si utilizzi il VAR: ci sono i famosi 4 casi di applicazione (gol/non gol, rigore/non rigore, cartellino rosso diretto, scambio di persona) e le modalità (in caso di chiaro ed evidente errore e/o in caso di grave episodio non visto).
Dunque cosa succede? Nella VAR room (Regola 6 – Gli altri ufficiali di gara) ci sono VAR (arbitro) e AVAR (assistente, quello che una volta veniva chiamato guardalinee) che osservano da più monitor tutta la partita e decidono se e quando richiamare l’arbitro in campo, ovviamente solo se si verifica uno dei quattro episodi citati in precedenza. Se la decisione assunta in campo è ritenuta corretta, si ha un cosiddetto “silent check” ovvero si dà una conferma all’arbitro, in caso contrario si procede ad una verifica che porta a due strade; la prima valida in casi di fuorigioco o di pallone che è uscito dal campo prevede che l’arbitro prenda per buona la decisione della VAR room e la applichi. Nel secondo, invece, l’arbitro è chiamato al cosiddetto “On field review”, ovvero si reca al monitor posto a bordo campo, riguarda l’episodio (un fallo di gioco o presunto tale) e decide quali provvedimenti adottare.
Ma, dov’è che questo sistema mostra ha dei limiti per cui anziché diminuire, le polemiche ed i dubbi aumentano? A mio modesto parere i problemi sono due: il primo è che la VAR room controlla tutto, si tramuta in una sorta di Azzeccagarbugli dei giorni nostri e va a scovare minuzie che spesso sono ininfluenti ma portano a lunghissimi controlli che spazientiscono i tifosi allo stadio ed anche i giocatori in campo. Il secondo, più importante, è il concetto di “chiaro ed evidente errore”. Chi stabilisce cosa sia “chiaro ed evidente”? VAR e AVAR; spetta a loro decidere se un episodio rientri nella casistica del chiaro ed evidente errore. Logicamente è un parere soggettivo, interpretabile e, in quanto tale, imperfetto.
Ad esempio, in Supercoppa abbiamo visto come per il VAR, la decisione di Banti di ammonire Kessie fosse un chiaro ed evidente errore, pertanto lo ha richiamato a rivedere le immagini per cambiare decisione. Il punto è che l’intervento del calciatore rossonero si è verificato sotto gli occhi del fischietto livornese, ad un metro di distanza dall’azione. Questo cosa significa? Che Banti non è in grado di valutare correttamente un episodio che riesce a vedere perfettamente? Parrebbe di sì, stando a quanto ritenuto dal VAR. Oppure significa che le immagini TV rendano un effetto distorto che può aver tratto in inganno gli ufficiali davanti al monitor? Può essere… E allora perché Banti dopo esser andato a rivedere l’episodio ha deciso di cambiare decisione? Aveva evidentemente visto male oppure non se l’è sentita di sconfessare il VAR? Nel primo caso vorrebbe dire che Banti ammette di non essere in grado di giudicare un episodio che si svolge sotto al suo naso, nel secondo che soffre di sudditanza psicologica nei confronti del mezzo tecnologico. Di sicuro, in entrambi i casi abbiamo un problema.
E abbiamo un altro problema quando invece è il VAR a non voler intervenire nemmeno di fronte all’evidenza; due casi per tutti, il tocco con la mano di Federico Dimarco in Inter-Parma (arbitro Manganiello) e il contatto da rigore su Zaniolo in Roma-Inter (arbitro Rocchi). Come questi non siano stati ritenuti “chiari ed evidenti errori” personalmente è un mistero che Fatima a confronto è una barzelletta ma a prescindere da questo, i due episodi non sono casuali: vi ricordate che oltre al “chiaro ed evidente errore” c’è anche il “grave episodio non visto”? Bene, nel caso di Manganiello, possiamo avere il dubbio sul fatto che abbia visto il tocco con la mano e lo abbia ritenuto involontario e non punibile con il calcio di rigore (e conseguente espulsione diretta per aver negato la realizzazione di una rete, Regola 12 – Falli e scorrettezze) mentre sicuramente Rocchi il tocco su Zaniolo non lo vede in quanto coperto ed infatti si può tranquillamente vedere come il fischietto fiorentino cerchi di spostarsi nel tentativo di avere una visuale libera dell’azione. In questo caso è certo che non abbia visto il contatto ed è altrettanto certo che il VAR non lo abbia aiutato, non solo perché non ha ritenuto il contatto da rigore come un “chiaro ed evidente errore” ma non ha nemmeno preso in considerazione l’idea che l’arbitro in campo fosse impossibilitato a vedere e quindi a decidere.
Basterebbe già questo per mettere a nudo il sistema VAR per come è impostato, ma entriamo in un’altra macroarea; il fuorigioco. A differenza delle azioni di gioco, il fuorigioco è considerato come “valutazione oggettiva” pertanto l’arbitro non deve nemmeno andare a vedere, decide direttamente il VAR. Come fa? Una ricostruzione tridimensionale del fermo immagine stabilisce se il calciatore attaccante si trova oltre al penultimo difendente oppure no. Ma noi non abbiamo una camera che sia sempre costantemente in linea, così come non abbiamo un sistema che riesca a fermare il fotogramma con precisione tale da avere un’immagine nitida e certa. Questo cosa significa? Significa che (e lo si può vedere su qualsiasi replay di un qualunque fuorigioco) l’immagine è leggermente mossa (basta vedere il pallone ovalizzato e dai contorni sfumati) e da questa immagine si ricostruisce in 3D la posizione dei calciatori per poi valutare il fuorigioco. E’ un sistema che può funzionare sulle posizioni che vanno dal mezzo metro in su, ma che può essere fallace su distanze minime come può essere un piede o un ginocchio. Eppure in questo caso non vi è margine di errore, anche un solo centimetro oltre e scatta il fuorigioco. Persino gli autovelox hanno un margine di tolleranza del 5%, invece il VAR sul fuorigioco no ed infatti abbiamo visto reti annullate per un’unghia in fuorigioco o poco più (vedi Higuain in Milan-Roma).
Per chiudere l’analisi arriviamo ad un aspetto molto controverso; i quattro casi di applicazione. Erano stati ideati per non interrompere il gioco in continuazione ma nella realtà sono una vera e propria cintura che limita l’utilizzo del VAR ma al tempo stesso non ne riduce i tempi (VAR e AVAR controllano comunque tutto anche se poi non intervengono). Questo cosa significa? Ad esempio un fallo fuori area non può essere valutato dal VAR (e capite bene quanto una punizione dal limite al 93′ possa far la differenza) ma prendiamo un caso concreto; Torino-Fiorentina di Coppa Italia. Al 20′ del primo tempo l’arbitro Abisso viene richiamato dal VAR per un tocco di mano di Meité su conclusione di Chiesa; fin qui nulla di strano se non fosse che l’azione deriva da un calcio d’angolo nato dopo che il pallone aveva evidentemente superato la linea laterale. Dunque si sarebbe dovuto ricominciare con una rimessa laterale in favore dei granata e non con un calcio d’angolo per la Viola. Ebbene, il VAR ha potuto verificare il fallo di mano (rientra nel protocollo) ma nulla ha potuto sul fatto che quel calcio d’angolo non andava assegnato (non rientra nel protocollo).
Insomma, abbiamo provato a vedere come funziona il VAR e, alla luce di quanto emerso, il sistema è destinato ad alimentare le polemiche che invece si era prefissato di diminuire.
Forse una soluzione c’è, ma nessuno vuol prenderla in considerazione; cancellare il protocollo, togliere la gestione sull’utilizzo della tecnologia alla squadra arbitrale e assegnare alle squadre una chiamata VAR per frazione di gioco. In questo modo sarà il capitano (o l’allenatore) a chiamare la revisione sul campo dell’episodio e, se l’arbitro conferma la propria decisione, la chiamata viene persa, se invece l’arbitro si corregge, allora rimane la possibilità di chiamare.
E’ tanto semplice, perché non provare?
Ciccio Mariello
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