Pazza Inter
Lo Strillo di Borzillo: Icardi sì, Icardi no…
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6 anni agoon
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RedazioneFinalmente, era ora, il primo gol di Maurito nel campionato di calcio 2018/2019; alla sesta giornata, nella partita probabilmente più complicata che l’Inter ha dovuto affrontare da inizio stagione, contro una squadra che – dall’alto della sua gioventù e spensieratezza – se l’è venuta a giocare senza macchia e senza paura. Alla fine ha perso la Fiorentina, è vero, ma tanto di cappello alla banda Pioli, tecnico di comprovata fede nerazzurra capitato sulla panchina della Beneamata in uno dei momenti più bui degli ultimi trent’anni almeno. E le sue chanches il buon Stefano, in un ambiente diverso, magari se le sarebbe potute giocare senza ansie né palpitazioni, supportato da un ambiente che, al contrario, lo ha scaricato senza una ragione né un motivo. Comunque acqua passata. Oggi, sulla panchina più tribolata d’Italia, siede Luciano Spalletti da Certaldo, quindi viva Luciano Spalletti da Certaldo. Ma un pensiero per Pioli mi sembrava dovuto, allenatore sottostimato e sottovalutato oltre demeriti che continuo a non capire da dove provengano, figli di quelle prevenzioni che di tanto in tanto ammorbano il mondo pallonaro.
L’Inter ha vinto, dicevamo. Ha vinto non tanto per un giuoco fantastico favolistico, triangolazioni volanti e sovrapposizioni da stropicciarsi gli occhi, o per aver inferto all’avversaria di turno lezioni tecnico tattiche sul calcio. Ha vinto perché è più forte e, soprattutto, perché ha uomini decisivi che si estraniano dalla partita per 89 minuti poi, all’improvviso, gli basta un pallone uno non si dice tanto però un minimo pulito e tachete, ti puniscono.
Esponente di primo piano di questo genere di calciatori, assenti ma non troppo, classici predoni del mondo animale in cima alla catena alimentare, è Icardi Mauro, venticinquenne argentino di Rosario – una città che ha il calcio nel sangue, non potete dire di amare il pallone senza aver assistito almeno una volta (anche televisivamente parlando, sia chiaro) al derby tra Newell’s Old Boys e Rosario Central, un mondo a parte – di professione goleador o, come amavano chiamarlo i suoi compagni e gli addetti ai lavori fin dalla giovinezza, el nino del partido, cresciuto col poster di Zanetti in camera da letto e dichiaratamente interista fin dalle origini non per comodo, o per amore di portafoglio che di soldi potrebbe pure guadagnarne tanti non obbligatoriamente sotto la Madonnina. Ecco, Maurito è il prototipo di questo genere, dicevamo. Assente ingiustificato a lungo nel corso dei novanta minuti è capace di trovare la rasoiata, il colpo della domenica, in un amen. Gli basta davvero poco, pochissimo, e ti castiga. Diverso e differente da tanti suoi acclamati competitors, bravi a dialogare coi compagni, a difendere il pallone, a far salire e respirare la squadra. Lui no. Lui respira gol, vive per il gol, secondo me impazzisce quando non segna per più di tre domeniche consecutive. E, da sempre, divide la tifoseria nerazzurra tra chi lo ama e chi non lo sopporta.
Perché Icardi è un po’ come la cassoeula (per chi non lo sapesse piatto tipico della cucina milanese e lombarda in generale, misto di verze e parti meno nobili del maiale lasciate sobbollire con aggiunta – raramente – di un tocco di salsa di pomodoro per colorare il tutto), ci vuole un del tempo per digerirlo; ma, se impari a capirlo, a comprendere chi è e come gioca, te ne innamori perdutamente e gli perdoni tutto, anche appoggi sbagliati da un centimetro o assenze periodiche dalla partita. Tanto, prima o poi, lui la mette, bisogna partire da questo presupposto.
Prendiamo ieri sera, ad esempio; ad un certo punto mi sono reso conto che era in campo perché portava la fascia di capitano al braccio, quindi si differenziava dagli altri. Poi, però, è quello che – pur in una serataccia dal punto di vista del gioco – prende il pallone al momento del calcio di rigore, e nessuno dei compagni lo avvicina segno che tutti si fidano del suo piedone, va sul dischetto con una tranquillità invidiabile mettendola dove anche uno come Lafont, centonovantatre centimetri di gioventù e reattività, pur proteso in tuffo, non può arrivare. Dopodiché altro periodo di abulia, quando è così sembra quasi che Mauro si diverta a giocare a nascondino dietro i fili d’erba e, all’improvviso, il tocco vellutato con cui mette D’Ambrosio davanti al portiere avversario per il gol vittoria. Così, come niente fosse, come mangiarsi una brioche col cappuccino, semplicissimo. Quando di semplice, in quel tocco, non c’è davvero nulla.
Non sto a tornare indietro nel tempo, a ricordare episodi analoghi l’ultimo dei quali il gol pazzesco al Tottenham, dopo 86 minuti di grigliate all’aperto coi compagni della panchina. Mauro è questo, ripeto, croce e delizia. Per me più delizia che croce, ma capisco anche chi dissente dal mio personalissimo modo di vedere e non lo regge.
Sta di fatto che, piaccia o non piaccia, ieri sera è stato decisivo, come spesso gli capita. La diatriba tra chi lo voglio e chi non lo voglio resterà aperta ancora a lungo, Icardi divide a prescindere.
Io lo voglio, sia chiaro.
Anzi, fosse possibile lo clonerei pure.
Ad maiora e sotto col Cagliari: ad oggi non abbiamo fatto nulla se non partire a singhiozzo, indi necessita recuperare. Con Mauro in campo, mi pare evidente.
Gabriele Borzillo