Luci e Ombre
Infiltrazioni ultras e doppi standard: la narrazione silenziosa
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11 ore agoon
Il calcio italiano, specchio di una società spesso piegata alla retorica e al conformismo, continua a riflettere il suo disastro culturale nella gestione delle infiltrazioni delle curve. Se in Francia testate di rilievo come L’Équipe affrontano il tema senza sconti, in Italia si preferisce confinare la questione in trafiletti marginali.
Qualche eccezione esiste, come l’inchiesta portata avanti da Massimo Giletti, ma il mainstream sembra orientato a sorvolare sulle ombre. La vicenda di Milano è l’ultima dimostrazione di questa tendenza.
Le accuse del pentito Beretta, che coinvolgono dirigenti nerazzurri e descrivono dinamiche compromettenti tra tesserati e capi ultras, non ricevono il rilievo che meriterebbero. Verbali che suggeriscono interventi di Simone Inzaghi per garantire un numero di biglietti superiore al consentito rimangono ai margini del dibattito mediatico. Tutto sacrificato sull’altare di un calcio che preferisce guardare altrove.
Infiltrazioni ultras: la memoria corta del calcio italiano
Un esempio emblematico è il confronto con il caso Juventus del 2017. Le due vicende presentano punti in comune. Infiltrazioni, ricatti, difficoltà delle società nel respingere pressioni. Ma le peculiarità del caso Inter mostrano una profondità diversa.
Le conversazioni con allenatori, le presunte cene con i giocatori e i rapporti palesi durante i festeggiamenti rendono la situazione attuale molto più esplicita. Eppure, il caso viene minimizzato con la frase ormai ricorrente: “C’è già l’esempio della Juve e di Agnelli”.
Questo riferimento, utilizzato come chiave per chiudere il dibattito, è tanto superficiale quanto strumentale. Si dimentica il calvario mediatico e giudiziario che travolse Andrea Agnelli, con accuse sproporzionate e mistificazioni che alimentarono per anni il fango sull’ex presidente bianconero.
La narrazione distorta e il ruolo dei media
L’approccio mediatico al caso Inter dimostra un evidente cambio di rotta rispetto al passato. Il clima è oggi caratterizzato da una sorprendente “cautela” istituzionale, accompagnata da una narrazione giornalistica volta a minimizzare e semplificare. Questa stessa narrazione, durante il caso Juventus, ha invece alimentato titoli apocalittici e un linciaggio senza precedenti, con accuse che associavano il club torinese a organizzazioni criminali.
Le sentenze su Agnelli parlano chiaro: un anno di squalifica per una condotta considerata di “troppa tolleranza”. Nessun coinvolgimento diretto con la criminalità organizzata, ma la percezione pubblica è stata manipolata da una macchina mediatica implacabile.
Allora, come oggi, si trattava di infiltrazioni nelle curve e del difficile rapporto tra società e tifo organizzato. Ma la gestione del caso attuale dimostra che il trattamento riservato alla Juventus era tutt’altro che “morbido”.
Un sistema che evita il confronto
La vicenda Inter, che meriterebbe un’analisi approfondita e non pregiudiziale, è relegata a un angolo della discussione pubblica. La scelta di minimizzare i fatti, escludendo qualsiasi gogna mediatica, non fa che evidenziare il doppiopesismo. La Juventus denunciò e pagò un prezzo altissimo, inimicandosi una parte della propria tifoseria.
Un approccio mediatico diseguale e le conseguenze nel dibattito pubblico
Il trattamento mediatico delle vicende legate al mondo ultras e alle infiltrazioni nei club calcistici, se analizzato con attenzione, evidenzia disparità difficilmente giustificabili. Da un lato, si assiste a una narrazione morbida e quasi complice nei confronti di certi contesti. Dall’altro si preferisce costruire casi mediatici che non sempre trovano riscontro nella realtà giudiziaria.
Il caso di Andrea Agnelli, ormai paradigmatico, si è trasformato in un simbolo della gogna pubblica, un processo che ha mescolato fatti, supposizioni e semplificazioni al punto di offuscare ogni discussione razionale.
La Juventus, a suo tempo, scelse di denunciare apertamente le pressioni e i ricatti degli ultras, un passo che comportò l’inevitabile rottura con una parte della propria tifoseria organizzata. Questa scelta, per quanto difficile e dolorosa, rappresentò un atto di coraggio che oggi appare totalmente assente in altri scenari.
La differenza sostanziale sta proprio nella reazione delle società: se la Juventus di Agnelli ha subito l’ondata mediatica senza sconti, l’Inter sembra al momento circondata da un’aura di protezione, con le indagini e le accuse relegate ai margini del dibattito.
Le accuse al sistema dell’informazione
La critica al sistema dell’informazione, spesso accusato di superficialità e di conformismo, si fa ancora più pressante di fronte al silenzio calato su episodi che coinvolgono altre società. Il principio del “non poteva non sapere”, che ha funto da base per la condanna di Agnelli, viene oggi abilmente eluso, con un dibattito mediatico che preferisce spostare l’attenzione su temi meno scomodi o su episodi del passato ormai cristallizzati.
Le parole del pentito Beretta e i verbali che chiamano in causa figure di spicco della dirigenza nerazzurra, come Marotta, vengono accolte con scetticismo o ignorate del tutto. Persino il presunto intervento di Simone Inzaghi per favorire la cessione di biglietti agli ultras sembra non suscitare interesse, se non nei pochi spazi di approfondimento rimasti.
Il pubblico, intanto, viene indirizzato verso narrative più semplici e meno divisive, lasciando che il tempo dissolva l’attenzione su questioni che meriterebbero ben altro spazio.
L’asimmetria del trattamento giudiziario e mediatico
La dissonanza tra il trattamento riservato alla Juventus e quello che sta caratterizzando il caso infiltrazioni ultras Inter va oltre la semplice percezione pubblica. Si tratta di una questione sistemica, che affonda le radici in un approccio spesso troppo indulgente nei confronti di alcune realtà e spietato verso altre. Le sentenze, le squalifiche e i procedimenti sportivi vengono esposti e amplificati in maniera selettiva, contribuendo a consolidare un’idea distorta di giustizia.
Il caso Agnelli, con le sue conseguenze dirette e indirette, è l’esempio lampante di come il peso mediatico possa influenzare il giudizio del pubblico ben oltre i confini delle aule di tribunale. Eppure, nonostante i fatti siano stati in buona parte smentiti o ridimensionati, il danno alla reputazione resta.
Al contrario, nell’attuale vicenda legata all’Inter, i protagonisti sembrano godere di una tutela mediatica e istituzionale che contrasta con il rigore applicato in passato ad altri.
Conclusioni: necessità di un’informazione più equilibrata
Il calcio italiano si trova a un bivio: continuare a perpetuare un sistema che favorisce la polarizzazione e il silenzio selettivo, oppure affrontare con serietà e trasparenza le problematiche legate alle infiltrazioni e al rapporto con il tifo organizzato. Le società, dal canto loro, devono assumersi la responsabilità di denunciare senza paura di ritorsioni, mentre i media hanno il dovere di trattare tutti i casi con lo stesso rigore e approfondimento.
Fino a quando l’informazione resterà legata a logiche di convenienza e conformismo, il calcio italiano non potrà sperare di superare quei limiti culturali che, da oltre trent’anni, ne frenano la crescita. L’esempio della Juventus e il silenzio sull’Inter sono solo due facce della stessa medaglia: un sistema che, se non riformato, rischia di perdere definitivamente la fiducia dei suoi appassionati.
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