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Esclusiva – Tessera del tifoso, storia di un esperimento fallito
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10 anni agoon
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RedazioneI tristi fatti della finale di Coppa Italia hanno riaperto un dibattito per la verità mai del tutto chiuso nel nostro Paese: quale approccio intraprendere nei confronti delle frange più calde del tifo. Come ben sappiamo, ora da più parti si ipotizza una stretta di vite, si vorrebbe imitare in tutto e per tutto il modello inglese, mentre meno intensa è la discussione su alcuni strumenti messi in atto negli ultimi anni.
Strumenti poi rivelatisi del tutto inadeguati. Tra questi c’è senza dubbio la tessera del tifoso, fortemente voluta dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni per “ripulire” il mondo del calcio. Un esperimento mal riuscito, per ammissione dello stesso presidente del Coni Giovanni Malagò.
Forse perché ha scopiazzato in maniera pessima un’iniziativa che si ispirava a ben altri principi, quella della carta del tifoso ideata dall’imprenditore italo-inglese Anthony Weatherill. Uno che di calcio ne ha masticato fin da bambino, visto che il suo padrino di battesimo era niente meno il grande Matt Busby, allenatore del Manchester United negli anni Cinquanta e Sessanta.
Quella di Weatherill era una “carta di appartenenza”, reale espressione della comunità calcistica. Ma le cose non sono andate per il verso giusto, come ci ha spiegato Weatherill.
Perché nasce la “tua” carta del tifoso? “Troppo spesso dei tifosi si parla quando ci sono manifestazioni di violenza dentro e fuori gli stadi, quando devono rinnovare l’abbonamento alla propria squadra del cuore o i vari pacchetto calcio-TV. Non si fa mai lo sforzo di inquadrarli nella loro storia, nella loro passione per il calcio, nelle loro molteplici problematiche. Eppure, sono i tifosi il vero motore di tutta la macchina del football. Per questa ragione ho pensato che fosse necessario uno strumento che diventasse un’occasione per soddisfare i propri bisogni e che nello stesso tempo confermasse la propria identità di tifoso di una squadra di calcio. Uno strumento che nel tempo potesse essere una sorta di piazza virtuale dove tutti potessero incontrarsi per dare concretezza alla loro appartenenza a una fede calcistica. Così ho pensato a una carta che contenesse, come punto di partenza, tutti i valori ideali in cui si riconosce un tifoso di una squadra di calcio. Una carta sotto molti aspetti avveniristica, con un sofisticato chip che in breve tempo potesse divenire la memoria storica del tifoso”.
Arrivato a questo punto hai provato a sondare il terreno? “Certo. La scelta è caduta sulla tifoseria del Toro. Nell’inverno del 2005 abbiamo presentato la Carta del Tifoso sul portale “ToroNews”. Il riscontro immediato è stato ottimo, tanto che ne hanno parlato importanti organi di stampa. Dopo poco ho concluso un accordo con la Federazione Italiana Sostenitori Squadre di Calcio (FISSC) per offrire i servizi della sua Carta a tutto il pianeta del tifo organizzato. La FISSC ha accolto in modo entusiastico la prospettiva di diventare il promotore e referente della Carta del Tifoso, facendo della carta un proprio strumento esclusivo”.
Un ottimo inizio, ma poi le cose si sono complicate… “Dopo la serie di eventi, purtroppo anche luttuosi, come l’assassinio dell’ispettore Filippo Raciti a Catania, che hanno determinato l’introduzione del biglietto nominativo, misi a disposizione la Carta del Tifoso per eliminare code e lungaggini burocratiche legate all’acquisto dei tagliandi per le partite. Parlai del mio progetto anche con Alfredo Mantovano, all’epoca sottosegretario al ministero dell’Interno, che mi spinse ad andare avanti nel fare conoscere la Carta. Purtroppo non avevo considerato il rischio che stavo correndo nel cominciare ad accostare la Carta del Tifoso alla vicenda del biglietto nominativo. Dopo qualche settimana sembrava che la Carta fosse nata semplicemente per acquistare un biglietto d’ingresso allo stadio”.
Che cosa hai fatto per evitare fraintendimenti ed equivoci? “Ho cominciato a girare l’Italia, a visitare i club dei tifosi e a parlare con loro. E’ stata un’esperienza bellissima e molto formativa. La passione che ho incontrato in ognuno di questi club, persino in quelli delle squadre di Prima Divisione, è qualcosa che spiega in modo chiaro l’amore che questo Paese ha per il gioco del calcio. In queste visite itineranti per l’Italia ho capito come la Carta del Tifoso sia una cosa che deve partire dal basso verso l’alto, fino a giungere ai vertici della piramide. Una forza pacifica e democratica, in grado di cambiare le cose quando occorre”.
Invece a un certo punto il Ministero dell’Interno rende pubblico il proprio progetto, pieno di compromessi volti ad accontentare tutti tranne i tifosi, che non vennero interpellati. Nel frattempo la Carta venne affidata totalmente, nella sua gestione diritti, alla società ‘Carta del Tifoso srl’. “Sì, la Carta del Tifoso lanciata dal Ministero degli Interni mi colse di sorpresa. Dopo aver presentato la mia Carta alle istituzioni, pensavo che questa ultime non sarebbero intervenute. Invece niente, Maroni andò avanti per la sua strada…”.
Però alla lunga l’esperimento di Maroni è miseramente fallito, come hanno ammesso anche le massime autorità sportive italiane… “Sì, come era del tutto prevedibile. Più in generale, credo che ora tutte le istituzioni, sia sportive che non, debbano ripartire da un concetto semplice quanto fondamentale: il rispetto delle regole. Nella storia della tessera del tifoso gli unici che ci hanno provato, spesso ricevendo solo problemi, sono stati i veri supporter delle squadre di calcio. Il mondo del football per cambiare ha bisogno di capire che il calcio ha delle proprie regole e dei propri valori. Basta applicarli. Ma non mi sembra che i primi segnali in proposito siano troppo incoraggianti. E con i precedenti negativi del recente passato era difficile aspettarsi altro. Purtroppo anche a livello mondiale il calcio è sempre più lontano dai suoi tifosi. È proprio di questi giorni la notizia dei Mondiali del 2022 eventualmente “comprati”. La cosa più strana e che l’accusa viene da chi ne ha un potenziale vantaggio economico – il Rupert Murdoch proprietario di Sky e Sunday Times – e non dalla giustizia sportiva”.
di Luca Manes
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