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Lo strillo di Borzillo – Salve, siamo tornati!
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6 anni agoon
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RedazioneQuesta è l’Inter. Questa è quella squadra che non capisci, che non ti spieghi, che a volte non sopporti, che ti fa girare le palle così velocemente da poter far decollare un elicottero. Ma che ami. Perdutamente. Senza alcuna possibilità di ripensamento. A cui dedicherai tutta la vita. E le sarai fedele, sempre, nonostante tutto. E chi interista non è, mi perdoni, non può capire. Potrà al massimo tentare di capire, ma non ci riuscirà mai fino in fondo.
Sembra una domenica qualunque, una tranquilla domenica di metà marzo col cielo grigio e una temperatura sensibilmente sopra la norma. Il morale calcistico è sotto i tacchi, con l’Inter reduce da una prestazione oscena in Europa League, uno spettacolo deprimente senza arte né parte. Mentre, sulla riva opposta del Naviglio, il respiro del successo è palpabile. Si, certo, magari ti incontrano e sparacchiano un…non si può mai dire, è un derby….ma esiste una consapevolezza, dettata più dalle beghe di casa Inter che non dalla brillantezza di gioco della truppa gattusiana, a far sembrare quel dubbio un qualcosa che va detto, non si sa mai, del sano maniavantismo male non fa.
La giornata fila via liscia e piatta, come l’asse da stiro di cui usufruisco per far passare il tempo; che non passa mai. Che ora è? Le tre e mezza. Oh, scusami, ma che ore sono? Le tre e quaranta. Ma come le tre e quaranta, erano le tre e mezza due ore fa. E sotto con l’ennesimo asciugamano; faccio outing, mi rasserena stirare gli asciugamani. Le camicie mica tanto, fanno le pieghe e mi incazzo. Ma vuoi mettere gli asciugamani?
Tra un asciugamano e l’altro riesco ad arrivare alle cinque e qualche; vai di Barnaby, mi sparo un bel giallo che quando finisce manca pochissimo, il tempo di un piatto di pasta. Tic toc tic toc tic toc saltiamo direttamente alle otto, mezz’ora dall’inizio. Li vedo entrare in campo per il riscaldamento, mi piacciono. Non hanno le espressioni inebetite del giovedì sera. Sono concentrati, determinati, incattiviti. Ho un moto di esaltazione, che però non capisco se deriva dai miei così decisi o dalla pasta col merluzzo di una libidine pazzesca. Nel dubbio opto per la seconda, con grande soddisfazione di mia moglie che già sa, dovrà sorbirsi una serata di parole a vanvera, improperi per chiunque e, in caso di insuccesso, pure i dieci minuti di mega incazzatura finale.
Iniziamo, agli ordini di Guida e sotto la supervisione al VAR di Calvarese, quello che ci ha appena arbitrati con la SPAL. Iniziamo col botto, senza guardare in faccia nessuno, senza nemmeno chiedere permesso. Cross di Perisic, assist al bacio di Lautaro e da metri due la prende Vecino. Che la prende poco, ma quando la prende sono cazzi amarissimi per gli avversari. Il primo tempo è bello da vedere, alla faccia dei clan che dividerebbero lo spogliatoio nerazzurro. Da un lato i croati, poi gli italiani, poi i sudamericani, poi le Giovani Marmotte col Gran Mogol, i quattro dell’oca selvaggia, la carica dei 101e il clan dei marsigliesi con tanto di Jean Paul Belmondo e Claudia Cardinale infiltrati per l’occasione. La squadra gioca da squadra, non ci sono amici, nemici e nemmeno semplici conoscenti. Si gioca. Tanto da andare al riposo insoddisfatti. O, perlomeno, io sono insoddisfatto; avremmo potuto essere in vantaggio di due reti, minimo, e ci ritroviamo coi cuginetti ancora attaccati al culo. In compenso il pistolero stanco Piatek sembra non avere cartucce stasera, annichilito letteralmente dal duo Skriniar-De Vrij.
Ricominciamo, vorrei scriverlo come lo cantava Adriano Pappalardo ma non ci riesco, e il copione pare ricalcare esattamente l’andamento del primo tempo. Altro traversone dalla destra, stacco imperioso dell’olandese volante e palla in fondo al sacco con Donnarumma proteso in un vano quanto plastico volo, bellissimo per i fotografi e le gigantografie nerazzurre. Che dici; adesso la gestiamo con calma. Invece manco per le palle. Prendi gol dopo un amen su incornata di Bakayoko e la nostra difesa messa, chiedo scusa per la critica, malissimo. Ma proprio malissimissimo.
Oddio, adesso ci prendono.
No, stavolta non ci prendono. Politano formato trottolino amoroso dudu dadada viene atterrato ingenuamente da Castillejo, un fallo che se lo avesse fatto uno dei miei starei ancora adesso dicendogli delle cosette, Guida cade rovinosamente mentre fischia, roba da siamo su scherzi a parte, ma rigore resta, nonostante il dolore al gluteo destro del fischietto nato a Pompei ed appartenente alla sezione di Torre Annunziata. Nessun conciliabolo stavolta, niente pimpiripettenusapimpiripettepa. Lautaro prende il pallone e, glaciale, la mette dove Donnarumma non può arrivarci. Tre a uno. Venticinque alla fine. E fatemi vivere sereno.
Finisco di pensarlo che sbam, altra sportellata, questa volta da parte di Musacchio, fino ad allora spettatore non pagante; a fare il puntiglioso barra meschino sarebbe pure da annullare per evidente fuorigioco di Piatek (finalmente lo si rivede in campo) che partecipa assai attivamente all’azione. Ma, avendo vinto, faccio il signore e me ne frego. Un momento; me ne frego adesso, perché lì per lì ero furioso come un rinoceronte durante la stagione degli amori.
Il resto è difesa, protezione e salvaguardia della porta nerazzurra, D’ambrosio che si immola per evitare un tre a tre beffardo ed irrispettoso del divario evidente che le due squadre hanno mostrato sul campo. Finisce, ed io urlo come un babbuino di guardia che ha appena visto un leopardo cercare di avvicinarsi ai suoi simili. Urlo io, urla Spalletti, urla tutta la squadra che si unisce in un abbraccio più esplicativo di mille parole, di clan, di tu mi stai sui coglioni e tu no.
Abbiamo vinto. Che ti incazzi perché se questi avessero sempre giocato con la garra vista stasera oggi, probabilmente, racconteremmo di un’altra Inter. Ma abbiamo vinto, ben oltre il tre a due finale.
Degli assenti non parlo, non mi interessano. Preferisco, di gran lunga, parlare di Lautaro, immenso, di D’Ambrosio, molti si chiedono perché gli rinnovano il contratto ed io penso al contratto di Danilo come all’ultimo dei problemi, all’accoppiata Skrinir-DeVrij, due giganti, alla posizione intelligente di Vecino in campo, a mille altre cose. Perché nel calcio, come nella vita, gli assenti hanno sempre torto. Soprattutto quando ingiustificati.
Un tassello alla corsa Champions è stato messo. Ora sosta, rifiatare, poi ripartire da qui. Da questa voglia. Da questa convinzione. Da questa cattiveria sportiva.
Dall’Inter.
Alla prossima.