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Lo strillo di Borzillo – Supercalifragilistichespiralidoso
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6 anni agoon
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Redazione“Altro giro altro regalo” urlavano i giostrai quando ero bambino per invogliarti a salire sul calci in culo. Che si chiama così, non è una parolaccia. Il meccanismo gira velocemente, tu sei seduto, quello dietro deve afferrarti, spingerti mollandoti una pedata nel sedere e tu cerchi di prendere un fazzoletto appeso. Se riesci nell’impresa vinci una corsa gratis. Più o meno funzionava in questo modo. Voi dite; e cosa c’entra la storia del calci in culo con una partita di calcio? Assolutamente niente, ma siccome di Torino-Inter c’è da raccontare lo zero assoluto mi piaceva coinvolgervi nei miei ricordi d’infanzia. Abbandoniamo le cose belle della vita e dedichiamo qualche passaggio agli spettacoli avvilenti cui siamo costretti, nostro malgrado, ad assistere.
Domenica pomeriggio, l’Inter reduce da un punto d’oro strappato con le unghie e con i denti al Real Sassuolo è di scena a Torino, sponda granata. Si gioca alle diciotto, l’orario più stupido possibile per una partita di calcio. Non puoi andare a passarti la giornata fuori porta, saresti costretto a rientrare troppo presto. Non puoi farti quattro passi dopo la partita, ora che finisce e fai le pagelle è tempo di cenare. Insomma, le diciotto andrebbero abolite dagli orologi mondiali, altro che balle.
Comunque, diciotto o non diciotto, il buon Maresca della sezione di Napoli sulla cui direzione non mi esprimo, diciamo che non mi è piaciuta ma non ha minimamente inciso sull’esito della catastrofica prestazione nerazzurra e poi, per inciso, mi sono assai rotto i coglioni di attaccarmi alla presunta incapacità dell’arbitro di turno, fischia l’inizio delle ostilità con una precisione svizzera, giusto per restare in tema di orologi e rimandare il più possibile un racconto basato sul nulla.
Spalletti decide che è ora di stupire il mondo pallonaro italiota e riesuma la mummia del 352, utilizzato ad inizio campionato in quel di Reggio Emilia con gli esiti che ben conosciamo, Mariani a parte. Insomma, dopo una vita calcistica trascorsa a botte di 4231 si sente il bisogno di novità. E che novità.
Davanti ad Handanovic Miranda con al fianco Skriniar e De Vrij, esterni alti (cioè, ci hanno fatto credere fossero alti, in realtà difendevamo a cinque e gli esterni se ne stavano bassi e tranquilli) D’Ambrosio formato decido di giocare la peggior partita dell’anno e Dalbert, il più forte che ho in rosa (cit.). In mezzo Brozovic –Vecino-Joao Mario, sicché il croato ha dovuto lavorare per tre e poi ci chiediamo come mai pecca in fase di costruzione; magari, a furia di correre per tutti, un minimo di lucidità la perde; o no? Poi, ma questa è una mia curiosità, vorrei chiedere cosa fa Vecino in settimana che non fa Gagliardini per meritarsi una maglia da titolare. Perché se Gagliardini è messo peggio di questo Vecino altro che segno della croce. Davanti il fantastico duo Icardi-Lautaro ad offendere, si fa per dire, la porta granata.
Pronti via, si parte; Lautaro mi smentisce immediatamente, sono vissuto fino a ieri pomeriggio con l’idea che il giovanotto poteva garantire un gol ogni qualvolta partiva titolare, divorandosi una palla intelligente offerta da Dalbert a cinque metri cinque dalla porta con quest’ultima sguarnita. Roba da non crederci nemmeno se te la raccontano. Va beh, pensi, l’inizio pare promettente; mica sbaglieremo occasioni così per tutta la partita. Peccato che questa sia stata l’unica occasione costruita in novanta minuti più otto di recupero, Sirigu si è limitato all’ordinaria amministrazione e poco altro.
La sfida latita, teniamo palla ma senza idee, senza costrutto, senza un minimo di cognizione di causa. La teniamo perché gli altri ce la fanno tenere, consci della fatica immane che facciamo per arrivare in porta. Il Toro combina poco o nulla. Fino al minuto trentacinque. Calcio d’angolo, D’Ambrosio resta attaccato al terreno, Izzo colpisce di testa un pallone completamente innocuo, Samir ha la stessa reattività di un bradipo della foresta pluviale amazzonica, Miranda guarda con nonchalance senza manco cercare di intervenire, che provare a metterci la gambetta non si fa, ci si potrebbe procurare una elongazione qualsiasi. Insomma, becchiamo il più comico dei gollonzi, gentilmente offerto da un trio in tutta franchezza rivedibile.
Adesso si svegliano, ti ostini a credere; e una piccola reazione in realtà c’è, tiro di Brozovic appena sopra la traversa. Poi il nulla. Ma il vero nulla. Preghi affinché Maresca fischi la fine del primo tempo, se no rischi di beccare il secondo. Lui ascolta ed esaudisce il desiderio. Continui a crederci; ripartono, avranno uno spirito diverso. In effetti si, lo spirito del secondo tempo è totalmente diverso; perché se nei primi quarantacinque minuti eri arrivato un paio di volte dalle parti di Sirigu, nella ripresa nemmeno quello. Uno spettacolo a tratti imbarazzante. Stavolta, oltretutto, Spalletti prova anche a cambiare qualcosa. Ma inserisce il suo pupillo belga, chiesto ed ottenuto la scorsa estate, che non offre il minimo contributo ed è assolutamente impresentabile a qualunque livello. Poi ci prova con Politano che cerca di dare la sveglia ma finisce per essere espulso, forse una parolina di troppo. Infine Candreva, che entra con la stessa determinazione che ho io quando mi chiedono di cambiare una lampadina e cerca di battere il record mondiale di palloni persi in sette minuti. Finisce, per fortuna. Ingloriosamente. E qualche domanda, adesso, la dirigenza deve cominciare a farsela.
Eviterei il pistolotto finale su chi ha voglia e chi no. Una cosa sola però; chi considera l’Inter una tappa di passaggio o crede di svernare sui prati di Appiano prego accomodarsi. L’Inter è sopravvissuta all’addio di tanti campioni, veri, sopravviverà all’addio di qualcuno degli attuali eroi, si fa per dire.
Ma la Società deve intervenire, se serve anche col pugno duro; perché non sempre è sufficiente un supercalifragilistichespiralidoso per mettere a posto le cose.
Alla prossima.