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Meteore del calcio – Mikaël Silvestre, il maestro di Evra che l’Inter non ebbe la pazienza di aspettare
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10 anni agoon
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RedazioneGiovedì è stato il giorno di Patrice Evra, leggenda del calcio francese e inglese, con le sue otto stagioni e mezza tra le fila del Manchester United, un’esperienza che tra l’altro ha arricchito la sua bacheca di una Champions League, un Mondiale per Club e ben cinque campionati inglesi (senza contare le tante coppe nazionali). Il terzino sinistro (calcisticamente nato nel Marsala e incompreso a Monza) per due stagioni ha diviso il ruolo con un suo connazionale, che scorazzava sulla medesima fascia da sette anni e che a sua volta transitò dall’Italia, lasciando a sua volta una traccia tutt’altro che indelebile: Mikaël Silvestre.
Il difensore di Chambray-lès-Tours, di padre originario della Guadalupa, giunse a Milano, sponda Inter, ad appena 21 anni, parte di una infornata di giovanissimi francesi comprendente Sebastien Frey, Zoumana Camara e Ousmane Dabo, dopo che nelle stagioni precedenti bene avevano fatto altri calciatori transalpini: Benoit Cauet e (soprattutto) Youri Djorkaeff. Ma quel disgraziato 1998-1999 aveva in serbo una storia diversa. Sandro Mazzola, però, credeva in quel ragazzo dall’ampia falcata e dai notevoli messi fisici e lo portò all’ombra della Madonnina, pagandolo al Rennes la bellezza di 14 miliardi di lire dopo un lungo braccio di ferro.
Era quella l’Inter di Ronaldo, Baggio, Zamorano, lo stesso Djorkaeff e un Ventola ancora considerato il futuro del calcio italiano (era reduce da due anni da stella del Bari e da un’edizione dei Giochi del Mediterraneo in cui era stato il miglior calciatore in assoluto). Le cose però iniziarono a precipitare già a fine novembre. Una società con i nervi scossi dopo le polemiche arbitrali dell’anno prima (quello del rigore di Iuliano su Ronaldo negato da Ceccarini, per intenderci) si aspettava una squadra che – dopo importanti rinforzi – si divorasse il campionato, cosa che non avvenne. E così, incredibilmente, fu esonerato il tecnico Luigi Simoni dopo una partita contro la debole Salernitana comunque vinta (sebbene al 95′) e soprattutto uno scintillante 3-1 in Champions League contro il Real Madrid campione in carica.
Al suo posto arrivò Mircea Lucescu, che all’esordio diede fiducia al giovane SIlvestre che in effetti andò a segno a Vicenza, ma solo per segnare la rete del deludente 1-1 nei minuti di recupero. Il francese era entrato in campo al posto di Taribo West, che per la frustrazione aveva gettato la maglia in faccia al tecnico rumeno. Di fatto si sarebbe rivelato l’unico squillo dell’esperienza di Silvestre in nerazzurro. Nel frattempo Moratti avrebbe giubilato anche Lucescu per sostituirlo dapprima con il ‘Giaguaro’ Luciano Castellini, quindi con il rientrante Roy Hodgson. Risultato: eliminazione ai quarti in Champions League ad opera del Manchester United (guarda caso) e mortificante ottavo posto in campionato a fine anno, nemmeno sufficiente per tentare di entrare in Europa via Intertoto (ci sarebbe riuscita la Juve a sua volta vittima di una stagione disgraziata, su cui torneremo).
Tra i più spernacchiati dalla Curva Nord ci fu proprio il povero Silvestre, bollato dal pubblico come bimbo timido e inadatto ai grandi palcoscenici del calcio dopo i fasti presso una società di media grandezza in Francia. Da qui la cessione proprio ai Red Devils a fine anno, dopo sole 18 presenze in campionato. Una cessione che sarà salutata dai tifosi alla stregua di una liberazione.
Scelta sbagliatissima. Silvestre sarebbe diventato uno dei baluardi di inizio millennio della plurivittoriosa squadra di sir Alex Ferguson, che addirittura lo elesse a modello per i giovani della squadra. Tra i quali ci sarebbe stato anche lo stesso Evra. Con cui condivide numeri praticamente identici, anche se in anni diversi: nove stagioni, cinque campionati vinti, svariate coppe nazionali, una Champions League e una (allora si chiamava così) Coppa Intercontinentale. E la bellezza di 249 presenze in prima squadra, contando solo il campionato.
All’Inter sarebbe invece rimasto solo il rimpianto per non aver capito di avere tra le mani il tanto atteso erede di Roberto Carlos (e guarda caso di mezzo c’era ancora Hodgson), cercato invano per anni. O quantomeno di non avergli dato il tempo necessario per mostrare il suo effettivo valore.
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