Pazza Inter
Lo Strillo di Borzillo: BORJA E IL FOSFORO, ANTONIO E I PASTICCI (PER NON PARLAR DI LAUTARO)
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6 anni agoon
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RedazioneCosì, come per gioco, ci siamo mangiati un bel piatto di malloreddus con ragù di carne e qualche pezzettino di salsiccia che non fa mai male; perché a tavola, ricordatelo, quel che non ammazza al limite ingrassa, poi finisce tutto lì.
Partita incanalata dal minuto 12 grazie al primo gol in serie A di Lautaro Javier (questo nome è un lasciapassare degno di nota in casa Inter) Martinez, ventiduenne nato a Bahia Blanca, città di trecentomila anime costruita sull’estuario del fiume Napostà così chiamata per il colore del sale che ricopre i terreni intorno all’abitato, dove ti svegli e puoi perderti nel blu dell’Oceano Atlantico o, a pochi chilometri, nell’immensità della Patagonia. Insomma gente tosta, formata e forgiata dall’asprezza del territorio circostante; ecco, Lautaro è il prodotto perfetto di questa piccola porzione di vita albiceleste, cattivo quanto basta, sguardo da duro, agonista per eccellenza. E forte, davvero forte, al di là dei gollonzi estivi in amichevoli senza valore, costruite per guadagnare qualche soldino che il calcio mondiale è in crisi e bisogna recuperare denaro da ogni pertugio disponibile. Ieri sera il ragazzino che viene dall’Argentina ha mostrato al pubblico pezzi vari da un repertorio che pare, a prima vista, ricco assai di soddisfazioni per lui ed i suoi tifosi. Gol, biciclette con lancio incorporato al compagno di turno, dribbling, possesso palla, corsa continua a mo’ di trottolino amoroso dududu dadada pur non al massimo dell’efficienza fisica; insomma, tanta roba che potrebbe diventare tantissima. Del resto, se hai uno simile tra i tuoi devi cercare di farlo giocare non dico sempre ma quasi. Ed in quest’ottica mi sono anche piaciute le parole di Spalletti; senza filosofeggiare il tecnico toscano ha dichiarato che il ragazzo lo vede come prima punta o, altrimenti, accanto ad un 9 vero in un 442 di cui l’Inter ha gli interpreti, eccome se li ha. Comunque sia il ragazzo deve giocare, poche palle; se è questo deve giocare sempre, abbandonando il noioso 4231 che mo’ inizia a stancare. Perché, per me sia chiaro, Lautaro non può e non deve essere considerato la prima riserva di Mauro ma il compagno di reparto del capitano. Che già mi vedo la coppia assemblata, cazzetti amarissimi per chiunque.
Nota di merito per “nonno” Borja, fosforo e cervello in quantità industriali; peccato per la carta d’identità che inesorabilmente ricorda al pubblico pagante il trascorrere delle primavere. Doveva sostituire Brozovic il trentatreenne madrileno, compito svolto senza far rimpiangere il vice campione del mondo platinato, con una leggerezza, una tranquillità tali da far pensare che il titolare del centrocampo interista fosse sempre stato lui. Ha preso la squadra per mano governandola come farebbe un capitano di lungo corso con la sua nave, in mezzo al periglioso mondo del pallone italiota, dove ogni pipì di cane viene vivisezionata goccia per goccia. Senza ansie, senza paure, senza tentennamenti; che alla fine sai di poter contare non su un serio professionista, di più. Che non rompe mai le palle, che non ha eccessi comportamentali privi di logica, che suda ad Appiano giorno dopo giorno per vivere momenti come contro il Cagliari. Migliore in campo? Non lo so, il gol e la “prima” del terribile ragazzo argentino ne ha offuscato la leadership; di certo quello con le idee più chiare, sempre pronto non solo all’impostazione ma, soprattutto, alla copertura, con un paio di recuperi impressionati per corsa e puntualità. Altro che promosso, Borja potrebbe tranquillamente insegnare all’università del pallone. Dove, purtroppo per lui, non insegnerà mai Candreva.
Antonio Candreva, laterale destro che le belle speranze le ha mollate da un po’, è uno dei misteri dolorosi del calcio nostrano; il nascere vicino al mare, cullato dal Ponentino, non ha sortito gli stessi effetti notati su Lautaro. Evidentemente l’oceano rende in maniera diversa sul carattere dei calciatori rispetto al tranquillo e pacato mar Mediterraneo, dove non si formano uragani né tempeste e in estate, col mare mosso ci si diverte a buttarsi nelle onde gioiosi e urlanti, roba che provate a farlo nell’Atlantico. L’impegno e la costanza del ragazzo non si mettono nemmeno per sbaglio in discussione, professionista serio al centodieci per cento. Il problema, casomai, va ricercato nelle troppe aspettative con le quali è stato catapultato nel capoluogo lombardo, aspettative soltanto di rado rispettate. Che non è la volontà a mancare, sono proprio i fondamentali. Ieri, al netto di tanta corsa e dei soliti cross sparacchiati sulle cosce o sul torace del diretto avversario di turno, Antonio è riuscito a collezionare un liscio che nemmeno il miglior Raul Casadei nelle balere romagnole più in voga su assist spaventoso di Lautaro, a memoria; dopodiché non pago – nel secondo tempo – smarcato deliziosamente da Radja a tu per tu col portiere cagliaritano (che, detto per inciso, cercherei di prendere al volo per il dopo Handanovic), è riuscito nell’impresa di centrare Cragno a terra con tutta la porta a disposizione. Chiaro che così il tuo pubblico minimo si incazza, anche se cerca di sostenerti continuamente. Chiaro che così qualche fischione dalle tribune arriva, nonostante lo sbandierato impegno. Ché il Meazza non è territorio facile, perdona poco e molto di rado, aiuta come il tuo peggior nemico che ti vede affogare lentamente nelle sabbie mobili. Zero totale. Chiaro che, alla fine di tutto, il 5 (o il 4, vedete Voi) in pagella è il sunto di orrori calcistici che coprono anche quanto di buono hai cercato di fare per i restanti minuti di gara.
Ora testa e cuore in Olanda; c’è il PSV, c’è da vincere per continuare a cullare il sogno di qualificazione agli ottavi. Si può fare, si deve fare.
Ad maiora.
Gabriele Borzillo