Pallonate
La cavalcata dei Fohlen
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4 anni agoon
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RedazioneC’erano una volta undici giovani Puledri. Impetuosi, travolgenti, dalla falcata elegante e inarrestabile. Erano i Fohlen di Hennes Weisweiler: Netzer, Vogts, Heynckes. Generazione di fenomeni che avrebbe fatto le fortune della Nazionale tedesca, campione d’Europa nel ’72 e del Mondo appena due anni più tardi.
È il 1965, i Beatles pubblicano “Rubber Soul”, Vittorio De Sica vince il suo terzo Oscar per “Ieri, oggi e domani”, un modesto club del Land della Renania Settentrionale-Westfalia, poco noto ai più, si affaccia per la prima volta in Bundesliga, la neonata massima serie calcistica tedesca. Un fuoco di paglia per molti, una squadra ineluttabilmente destinata a una pronta retrocessione in Regionalliga.
E invece il Borussia Monchengladbach in Bundesliga affonderà solide radici e scriverà alcune tra le pagine più affascinanti e spettacolari della storia del football made in Germany. L’impatto con la categoria superiore si rivelerà infatti assai meno traumatico di quanto si potesse immaginare e i ragazzi di mister Weisweiler riusciranno a centrare, senza troppi patemi, l’obiettivo salvezza per due stagioni di fila.
Arriveranno poi due terzi posti consecutivi, che imporranno il Gladbach come realtà emergente del calcio tedesco. Le basi per i trionfi del decennio successivo sono state gettate. Gli anni ’70 si aprono con il Borussia che alza al cielo il suo primo Meisterschale, successo bissato l’anno dopo ai danni di un Bayern Monaco clamorosamente sconfitto a Duisburg all’ultima giornata. Il Gladbach entra così nella storia come la prima squadra ad esser riuscita nell’impresa di laurearsi campione di Germania per due stagioni consecutive.
I ragazzi terribili di Weisweiler, guidati dal trio delle meraviglie Vogts-Netzer-Heynckes, verranno ribattezzati Fohlen, i Puledri, per la freschezza della loro beata gioventù e per il loro calcio offensivo, dinamico e divertente. L’eco delle loro gesta valicherà le frontiere tedesche, sconfinando in Europa. Impossibile spazzare via dalla memoria degli amanti del bel calcio il ricordo di un gioco armonioso e spettacolare, di un undici votato all’attacco, delle prodezze di un capellone biondo che portava con innata eleganza il numero 10 sulle spalle.
Gunter Netzer è stato forse il calciatore maggiormente rappresentativo del Gladbach anni ’70, quello che più di ogni altro ha saputo incarnare l’idea di un calcio fantasioso e offensivo, che più di tutti è riuscito ad accendere la passione dei propri tifosi e a strappare un applauso a quelli avversari. Nel corso della stagione 1972/73, i rapporti tra il tecnico Weisweiler e Netzer si incancreniscono a tal punto da spingere la società ad accettare la ricca offerta del Real Madrid che preleverà il numero 10 alla fine di quell’annata. 23 giugno 1973, il Borussia si gioca la coppa di Germania in finale contro il Colonia. I supporters del Gladbach sanno già che quella sarà l’ultima partita del loro beniamino con i Puledri e per questo vogliono rendergli il giusto tributo applaudendolo e incitandolo come e più di sempre.
Ma, a sorpresa, Netzer non è tra gli undici che scendono in campo dal 1′. Soltanto nei tempi supplementari, col risultato inchiodato sull’1-1, l’ostinatissimo Weisweiler decide finalmente di gettarlo nella mischia. Sembra un segno del destino, perchè Netzer, in quella occasione con un insolito numero 12 sulle spalle, appena entrato, riceve palla dentro l’area di rigore avversaria e lascia partire un bolide che s’insacca inesorabile sotto la traversa, regalando la coppa alla propria squadra e un ultimo sorriso a una tifoseria che lo porterà per sempre nel cuore.
Così Netzer si è conquistato l’immortalità, le sue gesta continueranno a vivere eternamente in quella dimensione nella quale un calciatore smette di essere semplicemente un calciatore e diventa simile a un dio, nella quale il calcio smette di essere semplicemente calcio e diventa magia. Da un numero 10 a un altro, da Gunter Netzer a Lothar Matthaus. Come il suo illustre predecessore, anche Matthaus viene ceduto e la notizia della sua cessione viene svelata dal diretto interessato a stagione in corso, con il Borussia che si sta giocando il campionato in un avvincente testa a testa con Amburgo e Stoccarda.
L’acquirente stavolta non è però il Real Madrid, bensì l’odiato Bayern Monaco, il club più ricco e invidiato di Germania, che con la sua enorme disponibilità economica “saccheggia” i piccoli club come il Gladbach dei propri talenti. La notizia dell’ormai prossimo approdo di Matthaus in Baviera determina una profonda spaccatura all’interno dello spogliatoio e scatena l’indignazione dei supporters del Borussia che, sentendosi traditi da quello che consideravano il loro eroe, cominciano a prenderlo di mira, facendone il bersaglio della loro collera.
Dagli spalti del Blokelbergstadion, ogni volta che Matthaus scende in campo, si leva, rabbioso, il coro “Giuda! Giuda!” al suo indirizzo. L’atmosfera per il giovane centrocampista si fa pesante e a risentirne è inevitabilmente il suo rendimento. Alla ventottesima giornata della Bundesliga 1983-84, Matthaus fallisce un calcio di rigore nella gara interna contro l’Eintracht Francoforte: l’1-1 finale costa ai Fohlen la testa della classifica e, neanche a dirlo, l’errore dal dischetto fa del promesso sposo del Bayern il capro espiatorio perfetto.
Il Borussia riuscirà a riconquistare la vetta, ma in coabitazione con Stoccarda e Amburgo, che, in virtù di una migliore differenza reti, si piazzeranno davanti ai Puledri, che chiuderanno amaramente al terzo posto. Le delusioni per il Gladbach, però, non finiscono qui.
C’è ancora una finale di coppa di Germania da giocare proprio contro la futura squadra di Matthaus, il Bayern. Il destino spesso si diverte a muovere gli uomini come inerti pedine sulla scacchiera della vita. I tempi regolamentari terminano sull’1-1, neanche i supplementari bastano per decretare un vincitore. La finale si decide ai rigori. Ancora una volta, Matthaus sbaglia dal dischetto e regala la coppa a quelli che, un mese dopo, diventeranno i suoi nuovi compagni. C’è chi dice che Lothar avesse fallito quel penalty volutamente e che il Bayern avesse giocato in 12.
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