Amarcord
Quella volta che… Il Paròn si tolse il cappello
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1 anno agoon
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Redazione31 ottobre 1971. San Siro incornicia una tela d’autore. Un dipinto che un critico d’arte non potrebbe non riconoscere come un capolavoro. Patrimonio dell’umanità, alla stessa stregua del Colosseo, dei templi di Agrigento, della Torre di Pisa. E come questi simbolo dell’Italia nel mondo. Testimonianza di quel genio italico che non ha eguali nella storia.
Il genio calcistico di Roberto Bettega, artista d’avanguardia che di colori per i suoi quadri ne adoperava soltanto due: il bianco e il nero. E di bianconero vestito, in quel pomeriggio di quarantatre anni fa, Bobby gol, sul prato del Meazza, fa ciò che gli riesce meglio, ciò per cui vive. Fa gol. Ne fa due. Il primo di testa, marchio di fabbrica, specialità della casa.
Bobby il gol lo sente nell’aria, lo fiuta come il cacciatore fa con la sua preda. Quando Il Barone arresta la sua elegante falcata sulla destra e alza la testa, Bettega sa già dove finirà il pallone. Sulla sua testa prima, in fondo alla rete dopo. 1-0 e palla al centro. Il Milan prova a riorganizzare le idee, la Juve non gliene concede il tempo. Čestmír Vycpálek traccia la rotta: continuare ad attaccare. I suoi ragazzi eseguono, suonano lo spartito senza incertezze.
Il palcoscenico sul quale si esibiscono non ammette battute a vuoto. È la Scala del calcio, signori e signore! Il primo attore della compagnia juventina è proprio lui, Bobby gol. Ma il resto del cast non è fatto di anonime comparse. Il ruolo del supporting actor non è meno importante di quello del protagonista. Senza Cochi niente Renato, senza Robin niente Batman. Senza Anastasi, niente Bettega. È Pietruzzo da Catania la spalla ideale per Bobby gol.
I due s’intendono a meraviglia, sembrano leggersi nel pensiero. Bettega appoggia corto ad Anastasi al limite dell’area rossonera. Il numero 9 si allarga, punta il suo diretto marcatore, lo salta. Penetra dentro, ne salta un altro, guadagna il fondo, sa già dove mettere il pallone, perché sa già che Roberto sarà lì ad attenderlo.
Quel che Pietro non può sapere, che nessuno può neanche lontanamente immaginare è in che modo Bettega ha intenzione di impattare quel pallone. La posizione dell’attaccante non lascia spazio che ad un’ipotesi soltanto: stop spalle alla porta, protezione della palla e tentativo di girata. Tutto troppo lungo, troppo complesso. Roberto sa che, così facendo, darebbe il tempo al suo controllore di intervenire e lui non vuole concedere vantaggi all’avversario. Lui vuole fare gol, deve fare gol. E se vuol far gol dev’essere svelto di testa e rapido di gambe.
Deve cogliere tutti di sorpresa. Il pallone, rotolando sull’erba, si dirige verso di lui, lo lascia sfilare. Un velo per un compagno che sopraggiunge dalle retrovie? No. E allora cosa? Quello a cui nessuno avrebbe mai pensato, un colpo di tacco. Un tocco lieve, una carezza al pallone. Un colpo di tacco. Sì, un colpo di tacco, avete capito bene. Goool! La tela d’autore si materializza davanti agli occhi di un pubblico che non può far altro se non contemplarla e custodirla nella memoria.
Chi ha avuto la fortuna di godere dal vivo della visione della Gioconda o della Vergine delle Rocce di Leonardo, quella visione la porterà con sè e dentro di sè per una vita intera. Ancora oggi, a quarantatre anni di distanza da quel 31 ottobre 1971, l’opera prima del maestro Bettega rivive ogni volta che su un campo di calcio qualcuno prova a imitare quel gesto tecnico, così come in tanti hanno provato a imitare la Gioconda senza mai riuscire ad avvicinarsi all’originale.
Da Del Piero a Crespo, da Ibrahimovic a Palacio la galleria dei gol di tacco vanta esemplari di rara bellezza tecnica, di straordinaria potenza visiva, nobile discendenza di un nobile padre. Quello di Bettega è il gol di tacco per antonomasia. L’archetipo, il paradigma, la forma universale, l’idea innata nell’Iperuranio del pallone. Bettega è il Demiurgo che quell’idea innata l’ha trasferita dall’Iperuranio al mondo sensibile portandola a conoscenza di tutti, così che tutti potessero prenderla a riferimento. Il colpo di tacco con il quale Bobby gol infila il Ragno nero Cudicini suscita l’ammirazione sincera del Paròn Rocco, che di fronte a quella magia si toglie il cappello e applaude l’avversario come fair play comanda.
Una magia di cui Bettega concede altre due repliche, entrambe a maggio. 22 maggio 1977, la vittima di turno è la Sampdoria. 27 maggio 1978, la Nazionale di Enzo Bearzot si prepara al Mondiale in Argentina affrontando alla Bombonera di Buenos Aires il Deportivo Italiano, partita decisa da un gol di tacco di Bettega. Rimessa laterale di Cabrini per Causio, che serve Roberto a centro area.
L’attaccante stoppa di petto, si aggiusta il pallone col ginocchio e lo colpisce al volo di tacco prima che tocchi terra. Sui volti dei modesti argentini del Deportivo Italiano la stessa ammirazione sincera che si leggeva nitida in faccia a Rocco, in quel pomeriggio di ottobre di quarantatre anni fa.
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