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Inter-Barcellona il giorno dopo: il killer instinct nerazzurro!
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6 anni agoon
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RedazionePer raccontare Inter-Barcellona dobbiamo cominciare dalla fine; dal minuto 86, da un pallone lavorato da Lautaro – otto minuti di alta qualità per un ragazzino a questi livelli -, da una mezza girata senza arte né parte di Vecino – insufficiente ieri sera ma il piede, la testa, la spalla, le orecchie insomma qualcosa ce la mette sempre lui nei momenti topici -, da una biglia che finisce sui piedi di Maurito mio. Il quale controlla, si gira, finge di tirare stile Milito in finale di Champions otto anni or sono, mette fuori tempo gli avversari e fulmina, più di Lee Van Cleef negli western all’italiana di fine anni sessanta, Ter Stegen da cinque o sei metri. Impressionante. Ecco perché Icardi per me sarà sempre Sentenza, il cattivo del capolavoro assoluto di Sergio Leone.
Ci hanno presi a pallate, non nascondiamoci dietro un dito; i catalani sono anni avanti a noi, hanno una rosa impressionante per numero e qualità, noi abbiamo la rosa limitata dall’UEFA per la menata del Financial Fair Play ma qualcuno, tristezza, pensa a come l’Inter sia stata favorita rispetto ad altre formazioni e lasciamo stare, tutti economisti bocconiani all’occasione. Giocatori che questa manifestazione l’hanno vinta e rivinta, campioni del Mondo con la loro nazionale, campioni di tutto. Noi siamo ancora embrionali, siamo i Calimero del girone, il nuovo che vorrebbe avanzare; credo, a memoria e senza controllare che mi rompo le palle, sia soltanto Miranda ad aver partecipato, con un qualche risultato direi, alla Champions. Gli altri, i suoi compagni, al massimo hanno collezionato brutte figure in una Europa League da cancellare immediatamente dagli annali dell’epopea nerazzurra continentale e non.
La storia della partita, e facciamola un pochino di storia, è nei guantoni di Samir – voleva giocare la Champions, la sta giocando e sta facendo pure bene mi sento di dire -, nel monumentale Skriniar – aspè, cos’è la roba del giocatore senza tecnica? – e nei piedi di Sentenza. Perché, alla fine della fiera, di questo dobbiamo parlare. Delle parate, alcune pazzesche, di Handanovic (poi qualcuno fa le pulci al portierone per il tiro di Malcom passato sotto la spalla destra dimenticandosi di interventi incredibili precedenti ma va bene, i critici a prescindere sono il lato comico del calcio). Del muro slovacco che ha tenuto in piedi la squadra in un primo tempo allucinante dove l’Inter ci ha capito poco o poco che nulla mi sembra eccessivo, andando a chiudere su chiunque in qualunque posizione del campo, un ragazzo arrivato dalla Sampdoria in punta di piedi tra risatine e pernacchie, troppo facile adesso fare gli espertoni pallonari; al posto di spernacchiare in primis i calciatori vanno conosciuti, invece molti soloni parlano per sentito dire e nulla più. Skriniar, in arte la Muraglia Cinese, ha sbagliato assai poco nel suo percorso di crescita che lo sta portando ad essere, senza nemmeno discutere, uno dei più forti al mondo nel suo ruolo. Del gol da scuola calcio di Sentenza, un movimento da mostrare in loop non soltanto ai ragazzini che si affacciano a questo incredibile sport ma, soprattutto, agli addetti ai lavori; perché in quei pochi secondi, nel cuore dell’area di rigore catalana, è concentrata l’essenza dell’attaccante con il gol nel sangue, quello che ha un quid in più rispetto agli altri, l’uomo che fa, non retoricamente ma coi fatti, la differenza. L’Inter ha la fortuna, di fortuna si tratta oltre all’occhio lungo di chi lo ha portato, giovanissimo, a vestire la maglia nerazzurra e di chi, tra un capriccio e l’altro, lo ha assecondato negli anni passati ritoccando un ingaggio che oggi come oggi, visti i suoi concorrenti diretti, è discretamente basso rispetto alla media, di annoverarlo tra le sua fila; vediamo di non farlo navigare verso altri lidi il capitano, un altro così non so se lo ritroviamo. Tutti lo aspettavano, Mauro, tutti aspettavano Sentenza, reo di segnare solo in Italia. E poco importava se i gol il ragazzotto argentino rifilava gol al Milan o alla Juve con la stessa nonchalance con la quale timbrava a Frosinone o a Verona; vogliamo proprio vederlo nell’Europa che conta, ce la menavano, il campionato italiano è poca cosa. Poca cosa quando fa comodo mi verrebbe da aggiungere.
Beh, direi che adesso l’hanno visto tutti Maurito. O no? Poi ci sono i detrattori del capitano a prescindere, ma quelli appartengono alla schiera dei prigionieri di uno schema dal quale è complicato rientrare; se hai spalato quintali di letame per mesi e mesi su Icardi come è possibile incensarlo oggi? È possibile, le persone intelligenti cambiano opinione quando la realtà è distante anni luce dall’immaginario. Poi ciascuno è libero di pensarla come meglio crede, beninteso.
L’Inter ha pareggiato, viva l’Inter.
Ora rimettersi sotto col capino, la strada – ne abbiamo avuta certezza ieri sera se ancora qualcuno nutriva dei dubbi – è lunghissima da percorrere, il divario con le cosiddette grandi importante. Ci vorrà un po’ di tempo per tornare a sedersi al tavolo di quelli che contano ma il percorso è tracciato. Noi siamo l’Inter, qui non si molla niente, nemmeno quando sembra tutto compromesso; e questo è già qualcosa.
Ad maiora.
Gabriele Borzillo