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Lo strillo di Borzillo – Dagli all’untore
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6 anni agoon
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RedazioneDevo scrivere. Cioè, dovrei scrivere. Cioè, scriverei…
Ma cosa cazzo scrivo di una partita senza senso, con i soliti cambi senza senso, le solite amnesie del solito terzino senza senso, la solita paura di giocarle, certe partite, senza senso, la solita conferenza stampa filosofeggiante, non so con quanto senso.
Certo, il dato di fatto è che la rosa, sempre grazie al signor platini e agli inventori del demenziale fair play finanziario – mi sono rotto i coglioni di fare il figo e chiamarlo financial fair play, sono nato a Milano e lo posso dire tranquillamente in italiano – è davvero risicata. Sempre gli stessi, sempre quelli, sia che giochino alla grande sia che facciano ridere anche chi il calcio lo conosce se non per sentito dire.
Non è un dagli all’untore, il tempo dei processi fasulli, reali o eventuali non è questo. Questo è il tempo di cercare la rivincita con la sorte – maledetta bastarda che ci vede benissimo quando si tratta di noi e ci sono ancora personaggi e personaggetti che ci raccontano del culo dell’Inter – di ripartire senza sbracare – uscire in questo modo è imbarazzante e può disturbare l’ambiente ben oltre la semplice cazzata della mancata qualificazione – di onorare l’Europa dei bimbi, di quelli bocciati all’esame di terza media perché non ancora pronti all’adolescenza, di andare avanti il più possibile nella coppetta nostrana – magari provare ad arrivare alla fine non farebbe schifo a nessuno, anche se non potrebbe certo lenire l’incazzatura di questa penosa serata – e di rientrare, senza se e senza ma, nell’Europa che conta, quella dei grandi, dallaquale ci siamo estromessi per orrori nostri, senza stare a cercare sempre la scheggia nell’occhio altrui quando nel nostro abbiamo una trave.
Son trascorse due settimane due di chiacchiere inutili sulla serietà o meno del Barcellona, certamente col Tottenham non ha giocato la partita della vita né schierato la miglior formazione, complimenti a Valverde per la sua sportività, che comunque, di riffa o di raffa, il pareggino a casa lo ha portato. Il problema, ahimè, non era il Barcellona; era l’Inter. Scesa in campo con la giusta motivazione, palo dopo pochi minuti, ma sciolta come neve al sole alla prima difficoltà. Asamoah, non contento dell’errore di piazzamento sul gol della Juventus a Torino, decide di raddoppiare; pallone perso in maniera assurda, senza un motivo, una ragione, un nulla che più nulla non si può e punizione immediata. Sotto uno a zero, la prima volta che gli olandesi, squadra modesta che più modesta in Champions non potevi trovare, passano la metà campo. Dici: abbiamo un sacco di tempo, contro questi tizi vuoi avere delle difficoltà? Ebbene si, hai un sacco di difficoltà, mica una sola. Senza nerbo, senza idee, senza grinta, senza cattiveria, senza lucidità, senza nulla di quanto serve per giocare a pallone anche nelle partitelle tra amici, trascorriamo tutto il primo tempo a cazzeggiare abilmente, in preda a crisi convulsive pallonare senza cacciare un ragno dal buco. Palla a tizio che la dà in orizzontale a caio che la ridà a tizio che la gira, sempre in orizzontale perché in verticale si può rischiare di trovare la porta avversaria, a sempronio. Da sempronio stessa tiritera che non ripetiamo per non scassare i maroni a chi legge o cerca di arrivare, eroe, alla fine di questa serie di stronzate. Insomma, per chi non lo avesse capito, un primo tempo da tregenda, con interpreti imbarazzanti; limitiamoci a scrivere imbarazzanti sì, dai, limitiamoci.
Inizia la ripresa.
Sempre gli stessi undici, cambiare anche no che si rischia di diventare pericolosi, il portiere olandese si inventa la parata della carriera su Icardi, che sarà pure andato a Madrid ma a questi livelli è l’unico, insieme ad un altro paio, ad avere palle e determinazione. Finché, in un lampo di lucido intervallo, Spalletti decide di chiudere la partita di Candreva, presenza impalpabile a parte un cross favoloso sul quale Perisic, il fantasma di Perisic, non allunga la gamba che poi si rischia di segnare e no, non si fa, non in una partita da dentro o fuori in Champions; out l’ex nazionale azzurro e dentro Keita Balde, che almeno a saltare l’uomo ci prova. L’Inter comunque sale di tono ed intensità, gli olandesi – questo pezzo francamente perdono tempo, da buoni ultimi in classifica senza nulla da dire se non nel loro campionato, auguroni, peggio delle peggiori squadre nei tornei aziendali e i nerazzurri, picchia oggi picchia domani, sfondano; ancora con Icardi, quello che i geni conoscitori del pallone dicevano vogliamo vederlo in Champions, primo giocatore interista ad andare a segno in tutte e tre le partite casalinghe del girone della massima manifestazione europea nella storia del club, su imbeccata di Politano, altra partita di cuore e sacrificio. Qui l’allenatore si inventa l’ennesimo cambio discutibile; cioè, per me sbagliato,pure di brutto, però siccome ho deciso di essere moderato uso il termine discutibile. Fuori Politano, dentro Vrsaljko. Tenendo in campo Perisic, anzi il fantasma del fantasma di Perisic, che quello in carne ed ossa vorrebbe giocare la Liga o, meglio ancora, la Premier.
Gli inglesi pareggiano a cinque minuti dalla fine contro le riserve delle riserve del Barcellona ma l’Inter ha staccato la spina, gestendo non si capisce bene per quale motivo un pareggio che non doveva esistere invece di spingere, piallare avversari scarsi, che scarsi sono e non raccontatemi squadra di nuovi fenomeni paranormali; ultimo sussulto, con Lautaro a sbagliare da tre metri tre il pallone del sorpasso al minuto novantadue, anche stasera malissimo il giovanotto che non gradisce entrare a partita in corso.
Finisce male, anzi, malissimo.
Inutile ora fare processi, l’ho scritto prima e lo ripeto. Inutile utilizzare se e ma. È semplicemente andata così, come peggio non si poteva. Ma, scusate se mi permetto, se tra Tottenham, Roma, Juventus e PSV raccogli due pareggini due, nel momento topico della stagione beh, il tuo posto, la tua dimensione, è l’Europa dei piccoli, al tavolo dei grandi ancora non puoi sederti.
Meditate gente, meditate.
L’Inter è fuori, ma sempre viva l’Inter. Io, sola, non la lascio mai.
Ad Maiora.
Gabriele Borzillo