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Lo strillo di Borzillo – E’ sempre Mauro (per non parlare di Vecino)
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6 anni agoon
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RedazioneDomenica 21 ottobre 2018. Mi alzo come se nulla fosse, cazzeggio a destra e a manca con puntatina al mercato ed annesso giretto al super, che la domenica tutto il mondo si dà appuntamento lì e non andarci mi fa sfigato; vuoi mettere la gimcana col carrello tra facce assonnate e coppie con lui stolidamente premuroso e più che altro rassegnato?
Rientro, lauto pasto, cerco di lavorare che manca poco alla consegna del libro e sono leggermente indietro ma vengo sottomesso dal torpore post prandium, mi accascio mentre la tivù racconta non ricordo manco cosa. Insomma, tento (poco) abilmente di non pensare al derby, che dopo mi prende l’ansia e non so se riesco ad arrivare a sera. Ma resisto. E, fingendo una assoluta noncuranza, all’ora di cena mi appropinquo a quello che una volta si chiamava tubo catodico pieno di speranze ma con uno scatolone di pannoloni a fianco, non si sa mai. Che quando gioca l’Inter…
Coreografie pazzesche, impegno dei tifosi di una parte e dell’altra degno di sottolineatura (un maestro di giornalismo avrebbe detto da segnare col circoletto rosso), il Meazza esaurito anche nei bagni, gente che un formicaio al confronto è luogo di meditazione e solitudine.
Pronti via, mi sembra funzioniamo bene. Cioè, la partita la facciamo noi, poche palle. Gli altri, i nostri cuginetti, se ne stanno sulle loro tomi tomi cacchi cacchi provando a ripartire in contropiede; e, nel frattempo, non disdegnano di ammollare qualche bel pestone senza guardare in faccia nessuno. Gol di Maurito mio, ma l’inflessibile Guida (bravo!) vede la deviazione con un capello sbarazzino dell’eroe di Roma, Matìas l’uruguagio, ed annulla implacabilmente mentre già saltavo sul tavolo improvvisando tutto il repertorio a me noto di danze popolari. Sembriamo padroni del campo, dopo i primi due tiri a lato dei rossoneri che francamente appaiono timorosi ed un tantino impacciati. Quando l’Inter attacca con convinzione il Milan va in palese difficoltà, si schiaccia nella propria area e, stavolta, sembrano loro i cowboys mentre noi spadroneggiamo come i migliori Apache guidati da Geronimo, nel nostro caso Brozovic. Ci mangiamo qualche occasione, inizia il solito rosario che non mi porterà diretto da San Pietro, divago chiacchierando del più e del meno con gli astanti mostrandomi disinvolto ma ho la tachicardia parossistica e lo stomaco che sembra un tamburo, giusto per rimanere in clima pellerossa.
Esce il Ninja, problemi alla caviglia, ed inizio a pensare che la sfiga sia con noi.
Subiamo una o due ripartenze più per orrori nostri, Asamoah accidenti mi hai fatto prendere un paio di colpetti e non farlo più che non ho l’età, non viene convalidato un gol al Milan per fuorigioco che pure il cane di mia sorella ha ululato segnalandolo, molliamo la presa e loro finiscono leggermente meglio. Roba da poco, intendiamoci, ma il capino fuori dalla metà campo lo mettono eccome.
Intervallo con caramelle al croccante, sorrisi circostanziali, battute che Alvaro Vitali e la dottoressa al distretto militare ci avrebbero fatto un baffo. Si ricomincia.
Al solito i primi minuti li passiamo contando le pecorelle, sonnecchiando e osservando con attenzione il terreno erboso alla ricerca del quadrifoglio perduto. Ma è un’impressione, una fottutissima impressione. Il Milan, in pratica, rinuncia a giocare, tanto che avrei potuto tranquillamente indossare io i guantoni di Samir e restare appoggiato al palo in attesa di una sambuca con la mosca. Non siamo bellissimi, per carità, ma abbiamo voglia di vincere; il problema è che manchiamo di cattiveria sotto porta e ci complichiamo la vita tenendo in vita gli avversari, in impaziente attesa del fischio finale.
Esce Perisic, scoprirò solo dalla conferenza dopo partita di Luciano nostro che il ragazzo è rimasto in campo nella ripresa per grazia ricevuta, ed entra Keita Baldé, fortemente voluto dal tecnico la scorsa sessione estiva di mercato. Pronti via il ragazzo senegalese combina un paio di pastrocchi insensati, mentre mi chiedo cosa farà mai durante la settimana che Lautaro non faccia. Poi capisco, si tratta di equilibrio, termine a me del tutto sconosciuto.
Stancamente ci avviamo al novantesimo con un velo di amaro in bocca; si, insomma, è vero che certe partite sarebbe meglio non perderle però, cribbio (cit.), questa non puoi non portarla a casa. All’ingresso in campo di Candreva dico cose sconclusionate e mi rassegno all’evidenza. Poi…
Poi, minuto novantadue, Candreva porge un pallone all’apparenza inutile a Vecino; sarà la garra charrua, sarà che il ragazzo non fa mai banalità negli ultimi minuti, Matìas mette in mezzo un pallone così, senza un vero e proprio perché. Saranno i fari negli occhi, sarà l’ora tarda, sarà che ogni tanto gli dei del pallone esistono e danno uno sguardo alle partite, Donnarumma inciampa in uno strafalcione che nemmeno io al Cimiano. Mauro sfugge a Musacchio – va beh, direte, mica Samuel, ma io ho sentito con le mie orecchie paragonarlo a Skriniar o De Vrij – e, a porta vuota, completamente vuota, gonfia la rete.
Esplosione di giubilo, il cane di mia sorella si spaventa nascondendosi sotto un divano, io salto sulla poltrona, abbraccerei chiunque mi si presentasse a tiro, esulto come nemmeno un bambino a cui hanno appena regalato la bicicletta nuova – oh, ai miei tempi si esultava eccome per una bicicletta nuova – e godo come un riccio. Che non so quanto godano i ricci ma me ne frego.
Vado a dormire. Continuando a godere.
Ha vinto l’Inter, viva l’Inter.
Ad Maiora.