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Lo strillo di Borzillo – El Toro, con il cuore in gola
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6 anni agoon
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RedazioneSembra primavera. No, davvero, sembra primavera grazie ad un sole insolitamente caldo per il periodo. Ma fa caldo soprattutto nei dintorni di Appiano Gentile, provincia di Como; fa caldo sotto la panchina di Luciano Spalletti. Sotto, sopra, a destra e a sinistra. Il plotone è pronto ad eseguire la sentenza, in caso di risultato negativo; la paura di uno sprofondo totale con recesso senza via d’uscita palpabile, crisi di nervi e tsunami sportivi con tifoseria imbufalita. Tutto lì, dietro l’angolo. Dovendo esibirsi su uno dei campi storicamente infausti ai colori del cielo e della notte; il Tardini, il Parma, quel gialloblù a strisce verticali che spesso e volentieri ha tirato scherzetti più che dolcetti ai giocatori nerazzurri.
Oltretutto le vittorie di Roma e Lazio, che alitano pesantemente sul collo interista, non offrono certo spunti di tranquillità alla truppa di Lucianone nostro, nocchiero col viso segnato da tempeste profonde. Non si può sbagliare, pena la gogna mediatica a tempo indeterminato, battutacce di terz’ordine, prese per il culo interminabili, tabelle su agganci e sorpassi.
Cerco di sfuggire a pensieri calcisticamente tremendi lungo la giornata; c’è da lavare la macchina, portare i piumoni in tintoria, quelle self stile americano con la lavatrice che si incanta un paio di volte e penso sarà una merdaccia di giornata, fare la spesa – fondamentalmente la cosa più fastidiosa del fine settimana – coi supermercati saturi in ogni pertugio, le corsie intasate e se per caso ti scordi qualcosa devi lasciare il tuo carrello appoggiato da qualche parte con relativo rischio di linciaggio da parte della folla inferocita, qualcuno ti ferma e chiede del mercato che sarà, ma Spalletti resta, cerchiamo di vincere, non se ne può più di questa solfa, ogni anno la stessa storia. Sorrido, nervosamente, anche perché non ho risposte, non sono il mistico e divino Otelma, non leggo il futuro nei tarocchi e nemmeno in un cespo di radicchio (a me il radicchio piace di brutto, detto per inciso, che fotte zero a chiunque ma non importa, mo’ lo sapete in caso voleste invitarmi a pranzo).
Rientro e litigo col computer ed il sito di Trenitalia, mi tocca pure prendere la macchina ed andare in stazione ma non risolvo un bel niente, potevo tranquillamente starmene sul letto a cazzeggiare. Intanto il tempo passa, si preparano lenticchie con carote, patate, sedano e cipolle, giusto per rompere la monotonia pomeridiana. E, già che ci siamo, mi rivedo per la mille miliardesima volta Colombo su rete4, mentre si avvicina sempre più il momento in cui la pressione si alzerà in maniera incontrollata; anzi, proviamola pure ‘sta pressione. Centotredici su sessantanove, va bene così.
C’è il Festival, penso; se proprio proprio si mette male cambio canale e chissenefrega. In effetti, dopo i primi dieci minuti, la tentazione è tanta. Non facciamo nulla di nulla, fatichiamo come dei muli per uscire dalla nostra metà campo, non ci riescono due passaggi di fila. Sembra il copione di un film già scritto, visto; inizio disperatamente a cercare cose da replicare a chi, in settimana, attaccherà cercando di mordere la giugulare dell’Inter. Poi, quasi d’incanto, come nelle belle favole, il ranocchio nerazzurro inizia a trasformarsi; primo tempo così così, vero, con qualche tentativo velleitario dalla distanza e poco altro da segnalare, a parte una marea di cross imprecisi ed insensati, mai pericolosi, mai nel cuore dell’area di rigore ma lunghi, alti, molli e destabilizzanti. Per chi, vi chiederete? Ma per noi tifosi; e che diamine, mica si chiede la luna, un traversone decente pare il minimo sindacale, Luciano prenda appunti ed agisca di conseguenza in settimana.
Andiamo negli spogliatoi dopo quarantacinque minuti discreti, considerando come eravamo messi una settimana fa. Ma sbagliamo cose elementari, perdiamo minuti preziosi per entrare in confidenza con la partita, abbiamo sostanzialmente paura. E si ricomincia.
Con un passo, una lena, una voglia diversi. Radja sembra tornato ai livelli del giocatore che eravamo abituati a vedere; va un pochino a strappi, vero, però tanta roba, vuoi mettere col recente passato. E lo stesso dicasi per Perisic, lontanissimo da quello ammirato in Russia la scorsa estate ma, anche al 70%, Ivan può fare la differenza in un torneo tecnicamente modesto come il nostro.
In realtà i secondi quarantacinque sono un monologo nerazzurro, col Parma chiuso a riccio davanti alla propria area di rigore, incapace di ripartire, sempre secondo sul pallone. Un dominio evidente che non trova il suo sbocco naturale, chiamasi gol, solo per la vena scarsa (siamo gentili) di Icardi, il ragazzo si sbloccherà e comunque sia parliamo di uno dei goleador più totali al mondo, per me a livello dei primi cinque o sei; ma questo sembra la statuetta fermacarte che abbiamo tutti sulla scrivania. Impacciato, lento, fiuto nel trovare la rete sottozero, avulso dalla manovra, sempre perdente nei contrasti sia aerei che palla a terra. Un momentaccio insomma.
Dai Luciano, un po’ di coraggio, siamo in controllo totale, cerchiamo di vincerla. E Luciano, ascoltando le preghiere di un popolo calcistico intero, inserisce Lautaro. Neanche il tempo di entrare; la Bertè, grande performance della Loredana nazionale, urla “cosa vuoi da me”, il ragazzino colpisce. Ecco, questo voglio da te. I gol. La classe; e ne hai da vendere. La cattiveria; non ti manca.
Il Parma, al contrario, non ne ha più. Terminiamo il lavoro in bellezza, sfiorando un raddoppio che meglio avrebbe disegnato i valori in campo.
Ricominciamo. Con Radja, con Ivan, con Mauro, si spera. Con qualche certezza in più. E paura in meno.
Alla prossima.
Gabriele Borzillo