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Lo strillo di Borzillo – Fuori controllo
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6 anni agoon
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RedazioneMi piacerebbe.
Dico davvero.
Mi piacerebbe cominciare il racconto di questo psicodramma sportivo sciorinando qualche cazzata, tanto per sdrammatizzare quella roba che è il gioco del calcio. Un gioco, santi numi, che qualche demente cerca di trasformare in una guerra di religione. Solo che, per stavolta, ho meno voglia del solito di raccontare e scrivere cazzate.
Pranzo leggero, una cofana di cannelloni ripieni naviganti nel ragù e nella besciamella non mi sembra il miglior viatico per la passeggiata pomeridiana verso un Meazza, tanto per cambiare, colorato di nerazzurro. Riposino che stimola la digestione, vestizione con calzamaglia, sottogiacca completo di cappuccio e pelo incorporato, giaccone pesante oltre che felpato, sciarpa, maglione stile Fantozzi, calze di quelle che ti pungono la pelle e pantaloni tipo sto andando a sciare dopodiché via, più veloci della luce.
Per strada incontro poche macchine, nei dintorni di San Siro qualche gruppetto di tifosi ma nulla che lasci presagire le oltre cinquantamila presenze previste. Sedici e trenta; fa un freddo porco, mi sono dimenticato i guanti ed i polpastrelli in preda ad un inizio di congelamento me lo ricordano, l’odore di salamella trasforma l’area circostante lo stadio in un picnic enorme, la birra scorre a fiumi tra i tifosi assiepati intorno ai furgoncini adibiti alla vendita di pane e companatico. Sono a dieta, porca pupazza, la tentazione di una salamella con birretta, quando sei a dieta, è imbarazzante, il proibito ha sempre e da sempre il sopravvento; nemmeno a quindici anni, con ormoni e testosterone a diecimila, avevi la bava alla bocca in questo modo perfino miserevole per cose ben più interessanti del cibo.
La sostanza è che non mi faccio corrompere nonostante il diavolo mi sussurri all’orecchio “ma cosa vuoi che sia, un panino…”. Estraggo portafoglio, tesserino e carta d’identità, entro accompagnato dai soliti sorrisi delle ragazze al desk, gentilezza assai gradita, mi avvio verso l’area riservata alla stampa. All’interno amici e semplici conoscenti, lasagne, focaccia alle olive o liscia, carne, bibitame vario ed eventuale, dolci libidinosi e, soprattutto, formazioni ufficiali. Che le leggo e già mi viene un fottone inaudito. Ma mi sono ripromesso di stare sereno, io non ho voce in capitolo, non faccio l’allenatore né il dirigente, mi limito a leggere e rileggere, incredulo, l’undici iniziale chiedendomi “porque, porque, porque” (cit). Però, visto che il beneficio del dubbio si concede a chiunque, in Italia fin troppo, sono curioso di capire cosa riusciranno a combinare i nostri eroi sul prato verde.
Ottima posizione in tribuna, freddo sopportabile o forse sono io ad essere talmente assuefatto al clima da non capire più se la temperatura sia scesa ancora o meno, noto discutibili copricapo tra la folla plaudente alle gesta mirabolanti della truppa Spalletti. Si parte, in una bella serata invernale. Sempre alle diciotto, sempre a questo stupido inutile orario.
Il Bologna sembra impacciato, regala immediatamente un pallone facile facile per Mauro che, colpito dal raptus segno solo su rigore preferibilmente col cucchiaio, mette a lato. Ma è un fuoco di paglia. Samir si guadagna la pagnotta mettendoci mani e guantoni in un paio di circostanze, bella la parata sul carneade Santander da una dozzina di metri con plastico volo alla destra, fino al gol, una comica surreale firmata De Vrij che pisola, lui sì sembra aver mangiato i cannelloni un paio di minuti prima della gara, si fa uccellare che nemmeno all’oratorio da Santillana Santander, sei gol in ventitré presenze ufficiali quest’anno, e la frittatona con cipolla è fatta.
Dai, reagiranno. E reagiscono. Vecino, fino ad allora vagante per il campo senza se e senza perché, riesce nell’impresa di buttarla fuori da sei metri con porta spalancata. Fa ancora peggio il capitano lanciato, udite udite, da Perisic, a tratti in campo si è visto il croato, cercando un improbabile dribbling ai danni del portiere rossoblù quando sarebbe bastato un tocco sotto anche semplice per impattare prima del riposo. A cui si va sotto un lunghissima salva di fischi.
Non entro nel merito del è giusto o meno fischiare; io appartengo al partito del si tifa fino al novantesimo più recupero poi si spernacchia, eventualmente, chiunque. Ragion per cui sono di parte.
Esce Candreva, lo stava cercando la Sciarelli dal primo minuto, entra Lautaro. Sembriamo più propositivi, volitivi, decisi; ma combiniamo poco o nulla. Poi, da una rimessa in gioco di Dalbert, non da una azione esaltante, occasione pazzesca per il ragazzino protetto da Icardi che, da tre metri tre, riesce a colpire malissimo mettendo fuori un pallone carambolato sul suo capoccione quasi per caso. E non è sfiga. È che se non hai la giusta concentrazione, la giusta motivazione, anche le cose semplici diventano impossibili.
Fuori Nainggolan, per cortesia presentarlo solo ed esclusivamente quando sarà in grado di reggere una partita di pallone a livello professionistico, dentro Joao Mario, che non fa peggio del belga. A dir la verità era impossibile far peggio del presunto campione fortemente voluto da Spalletti. Poi, al culmine della disperazione, dentro anche Ranocchia centravanti aggiunto. Uno dice: beh, lo faceva Mou, quindi…si, lo faceva Mou, ma quell’Inter faceva anche paura. Ieri sera, al contrario, è sembrata la mossa della disperazione, del questo passa il convento. Tristissimo. Comunque ci mette più garra Ranocchia in dieci minuti che non gli altri in tutta la partita; e, a momenti, pareggia pure impegnando il portiere avversario nell’unica parata complicata dell’incontro.
Finisce pietosamente, con altri fischi a far da sottofondo all’uscita, testa bassissima, dei nostri presunti eroi dal campo. Con Spalletti sempre più solo, purtroppo. Cambiare tecnico? E per chi? Un traghettatore? Fuori i nomi. Senza farneticare di Conte o Mou, nessuno di questi prenderebbe mai l’Inter attuale per rovinarsi fegato e carriera. Piuttosto basta carote a quelli che scendono in campo; la politica buonista non sembra funzionare, forse Marotta sarebbe ora cominciasse a farsi sentire. Finiamo la stagione, a luglio molti, per fortuna, saluteranno.
E non sentirò la loro mancanza.
Alla prossima.
Gabriele Borzillo