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Lo strillo di Borzillo – Lezioni di anatomia calcistica (e non)
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6 anni agoon
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RedazioneSi gioca alle 15 di domenica pomeriggio. Come quando ero bambino. Come quando pranzavi a mezzogiorno e papà ti portava allo stadio, se avevi fatto il bravo a scuola e finito i compiti per il mattino dopo. Come quando ascoltavi alle radioline i risultati provenienti dagli altri campi e Ameri, Ciotti, Provenzali con tutta la banda diventavano cantori di accadimenti lontani che avresti potuto ammirare sui teleschermi, in bianco e nero, alla Domenica Sportiva, salotto educato di un calcio che non esiste più.
Si gioca alle 15 di domenica pomeriggio, e mi rendo conto a mezzogiorno di essere in estremo ritardo, completamente disabituato ad un simile orario; che ormai l’Inter scende in campo alle 18, alle 19, alle 20.30, alle 21, il giovedì, il venerdì, il sabato. Ed io, lo confesso sono leggermente rincoglionito, finisco per non capirci più un cazzo.
Si gioca alle 15, in uno stadio con oltre sessantamila presenze, contro la SPAL, non il Manchester City. Eppure Petagna e Valotiattraggono misteriosamente il tifoso interista al pari di Aguero e David Silva. O, forse, il tifoso interista è talmente innamorato dei propri colori che poco importa chi si trova di fronte.
Si festeggiano centoundici anni di storia, di vittorie, di sconfitte, di gioie immense, di dolori lancinanti. Ma si festeggia. E ci sono tutti. Meno l’ex capitano, lui no, lui poverino è alle prese col ginocchio e non può muoversi dal divanetto; ma non preoccupatevi, domani ci scrive una bella letterina e siamo a posto.
Inizia discretamente l’Inter, con un inedito 4231 dove Asamoah fa l’esterno alto e Dalbert quello basso sulla corsia di sinistra, mentre dall’altra parte giostrano Politano e Cedric, ragazzotto dotato di piede discreto, uno dei pochi in grado di mettere qualche pallone decente in mezzo all’area di rigore. I sussulti, per la verità, sono ben pochi. La partita si accende, usiamo questa terminologia per evitare di far addormentare chi legge, soprattutto quando il pallone capita tra i piedi di Lautaro Martinez, il solo in grado di inventare qualcosa in una squadra piatta, prevedibile e con poche idee.
Poi, all’improvviso, la fiammata; pallone filtrante di Dalbert (così ricordo), stop di petto di Lautaro che ubriaca un paio di avversari e, in controtempo, buca la rete avversaria. Tripudio sugli spalti, il gol è di una fattura tecnica altissima ma il Signor Marco Di Bello, addetto al VAR, richiama l’attenzione di Calvarese; dopo un fitto chiacchiericcio tra i due il direttore di gara si avvia a rivedere le immagini, che in tribuna stampa avevamo già avuto modo di osservare. Il numero dieci nerazzurro ha stoppato il pallone tra petto e braccio, corretto annullare e corretto non ammonire, il movimento di Lautaro non è volontario. Per chiarire e far capire a chi non capisce; Lautaro non cerca di addomesticare il pallone con la mano, molto più semplicemente quest’ultimo gli sbatte sul braccio. Comunque sia, che qualcuno l’abbia capito o no, Calvarese giustamente annulla. Stadio incazzato ma decisione esatta. Anatomicamente il braccio è al suo posto, quindi fallo.
Si procede, senza palpiti eccezion fatta per l’infortunio di Brozovic – potrebbe costare al croato finanche il derby – concinque minuti di recupero. Finisce tra qualche fischio (me se dovete fischiare dopo un tempo cosa venite allo stadio a fare, statevene a casa così potete fischiare, insultare, dormire e non infastidire i giocatori. Se proprio si fischia, se si è obbligati a farlo, lo si faccia alla fine della partita. E che cazzo, e non è difficile da capire) e l’incitamento della curva, tornata a cantare e sostenere la squadra incessantemente.
Secondo tempo con Miranda fuori (verrà operato per la fratturadel setto nasale) ed il pubblico correttamente seduto sulle poltroncine che con l’aria che tira non si sa mai, magari devi andare in bagno e capita che ti sloghi una caviglia.
Spalletti inserisce Ranocchia, scala Asamoah come terzo di sinistra e gioca a tre dietro. La squadra risponde bene, le distanze sono più semplici da trovare, in mezzo al campo soffriamo meno il palleggio avversario ma non sfondiamo. Fino a quando, su un batti e ribatti, Politano controlla, si gira e lascia partire una sabongia; sembrerebbe diretta verso il portiere, piazzato sul primo palo, ma un difensore biancazzurro ci mette il piede, parte anatomica del corpo che sta al termine della gamba, il pallone cambia traiettoria e si infila alla sinistra dell’incolpevole estremo ferrarese. Ma Di Bello vuol vederci chiaro; e ci vogliono circa tre minuti di VAR prima di convalidare.
Adesso l’Inter gioca, come se si fosse liberata da un peso opprimente. Cedric imperversa (si fa per dire) a destra e, da un suo tiraccio senza pretese diretto non si sa dove, nasce il raddoppio di Gagliardini, fino ad allora autore di una prestazione insufficiente. Il ragazzo bergamasco controlla col piede sinistro – cosa sia il piede lo abbiamo appena spiegato -, compie una mezza giravolta ed infila col destro dove il portiere ospite non può proprio arrivare. Due a zero, partita chiusa, tutti a casa alé ed applausi finali.
Prestazione da incorniciare e ricordare? No. Ma, questo si, prestazione di cuore, di volontà, di agonismo.
E poco importa il gol, fantastico, annullato a Lautaro; quando il fallo di mano c’è, quando esiste, quando è vero e non frutto di miraggi, si accetta di buon grado il fischio arbitrale, anche avverso. Perché l’anatomia umana è importante, a volte fondamentale.
Capito signor Abisso?
Alla prossima.
Gabriele Borzillo