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Meteore del calcio – José Calderón, né Angelillo né Maradona. L’incubo di ogni napoletano
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11 anni agoon
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RedazioneNon basta chiamarsi Calderón per entrare nella storia del calcio. L’Atletico Madrid, che si prepara a contendere la Champions League ai cugini del Real, deve il nome del suo stadio al presidente che, dal 1964 al 1980, regalò ai Colchoneros la stabilità economica, un impianto utilizzato anche oggi, quattro campionati spagnoli e una Coppa Intercontinentale, vinta senza aver trionfato in Coppa dei Campioni (il Bayern Monaco rinunciò alla competizione).
Ma gli appassionati del calcio italiano e, in particolare, del Napoli non potranno non ricordare che il nome Calderón è comparso anche sui campi di calcio della serie A. Con risultati a dir poco discutibili.
José Luis Calderón nel 1997 non ha ancora compiuto 27 anni ed è reduce da una stagione monstre con la maglia dell’Intependiente, blasonato club argentino di Avellaneda: 23 reti in 41 presenze. Tale è stato il suo impatto sul campionato che viene convocato per la Copa America dal ct Passarella, in anni in cui gente come Batistuta, Balbo, Palermo, Crespo vivevano le proprie stagioni migliori. Non arriva nemmeno un gol e l’Albiceleste esce contro il Perù ai quarti.
Poco male. Ferlaino se lo aggiudica per 7,5 miliardi di lire e lo presenta al popolo partenopeo come uno degli attaccanti più forti della storia societaria, destinato a far dimenticare gli asfittici Caccia, Aglietti e Caio dell’anno prima al fianco di un bomber affermato come Igor Protti e di una promessa come Bellucci. Lui mostra di non aver paura e giura: “Segnerò più reti di Angelillo”. Cioè 33 in una sola stagione.
In realtà la rete segnata contro il Leffe in precampionato resterà l’unica della sua avventura in azzurro. L’allenatore Mutti, dopo averlo provato nelle prime partite, rinuncia per la disperazione. Mazzone non lo vede mai, all’arrivo di Galeone è ormai un corpo estraneo della squadra, l’ex tecnico del Pescara nemmeno gli parla. Il quarto allenatore partenopeo Montefusco nemmeno lo conoscerà, perché la società ha già provveduto a rispedirlo in patria.
Completamente a disagio con il gioco italiano, il suo rapporto impossibile con il gol diventa leggendario dalle parti di Fuorigrotta. Il suo ruolino in Italia recita: 6 presenze in campo, 0 gol. Quel Napoli alla fine del campionato precipita in serie B con numeri spaventosi: 14 punti, derivanti da 2 vittorie, 8 pareggi e ben 24 sconfitte.
Lui però non ci sta. “Non sono un bluff, non mi hanno rispettato come calciatore e come uomo. Anche Balbo, Crespo, Batistuta hanno avuto bisogno di 6-7 mesi di tempo per ambientarsi. Persino uno come Maradona ebbe problemi nel primo anno di Napoli!”, sbotta prima di tornare in Argentina, dove l’anno successivo tornerà a segnare caterve di gol (uno, contro il Boca Juniors, da 48 metri!) riguadagnandosi la maglia della nazionale alla Copa America 1999. Giocherà fino a 40 anni, segnando anche una tripletta e vincendo due campionati argentini e una Libertadores.
Alla fine, quando si ritirò nel 2009, l’autorevole “Clarìn” lo salutò come una “quasi leggenda”. E’ difficile pensare che a Napoli qualcuno sia d’accordo.
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