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Meteore – Denilson: da Aldo, Giovanni e Giacomo al Vietnam
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9 anni agoon
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RedazioneAlla fine degli anni ’90 era sulla bocca di tutti, come Ronaldinho, Rivaldo e Ronaldo. Denilson De Olivera Araujo era una delle stelle nascenti del calcio brasiliano e considerato uno dei talenti più importanti sulla scena mondiale. Fu un clamoroso abbaglio collettivo.
Cresciuto al San Paolo, mancino naturale, sviluppò uno stile di gioco personale, fatto di dribbling, doppi passi e finte che, sebbene talvolta esagerati, lo rendevano quasi inarrestabile. Qualche ottimista paragonò l’esterno nato a Diadema addirittura a Garrincha. Nel club paulista esordì nel 1994, nella Seleçao debuttò a 19 anni, come i predestinati. Anche Tele Santana si arrese: “E’ il mancino migliore del Paese”. La sua ascesa fu incontenibile: la pubblicità della Nike (la Nazionale brasiliana che si scatena in aeroporto), le citazioni nei film (anche se lo sberleffo in “Così è la vita” (Clicca qui per vederlo) di Aldo Giovanni e Giacomo faceva intravedere dove sarebbe andato a finire), il Torneo di Francia giocato da protagonista e un discreto Mondiale ad appena 21 anni aumentarono a dismisura le sue quotazioni. “Assomiglia a Rivelino”, dichiarò Ancelotti, mentre Zico si spinse oltre: “Chi lo prende è a posto per 10 anni”. Qualcuno lo prese in parola.
Per portarlo in Europa, il presidente del Betis Siviglia Manuel de Lopera si rovinò per anticipare le grandi: 32 milioni di euro al San Paolo, clausola rescissoria da 60 milioni, al tempo una cifra inaudita, e contratto di dodici (12) anni. Fu un tragico errore per l’ambiziosa società andalusa, che puntava a competere con le allora quattro potenze Barcellona, Deportivo, Real Madrid e Valencia: la tecnica innegabile di Denilson non faceva di lui un uomo squadra. L’impatto con il calcio europeo, giocato a ritmi ben diversi da quello brasiliano, fu traumatico per l’ex San Paolo, troppo individualista e poco concreto sotto porta. Le sue movenze e le sue controfinte giullaresche erano state attentamente studiate dai difensori e dai tecnici europei, che lo neutralizzarono con facilità, e lui non fu in grado di evolversi, di compiere un salto di qualità.
Due gol il primo anno, tre il secondo: questi i numeri tragici del nuovo Rivelino. I biancoverdi nel giro di due anni precipitarono in Segunda Division, Denilson nel 2001 fu rispedito sei mesi al Flamengo, poi giocò ancora fino al 2005 a Siviglia, risalito immediatamente nella Liga: in cinque anni, segnò appena 8 reti alle pur perforabili difese del campionato spagnolo.
Ormai retrocesso a giocatore di rango minore, partecipò e vinse da comparsa i Mondiali del 2002. Nel 2005 passò al Bordeaux, nella speranza di convincere il ct Parreira a convocarlo per la rassegna iridata del 2006: niente da fare, nonostante una stagione discreta.
Il 2005/2006 fu così l’ultimo anno ad alto livello per Denilson, che nelle quattro stagioni successive giocò in Arabia Saudita (Al Nassr), Stati Uniti (Dallas), Brasile (Palmeiras), Vietnam e Grecia. Scartato in un provino dal Bolton, si ritrovò nella terza serie brasiliana con l’Itumbiara prima del passaggio allo Xi Mang Hai Phong in Vietnam: la sua avventura durò solo qualche settimana. Dopo alcune panchine in Grecia nel Kavala, nel 2010, a 32 anni, decise di chiudere la carriera. Ora commenta calcio per Rede Bandeirantes.
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