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“Non si fuma, non si beve… cosa si può fare?”: i 100 giorni al Milan di Jimmy Greaves
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9 anni agoon
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RedazioneA 21 anni James Peter Greaves, per tutti Jimmy, aveva già segnato qualcosa come 132 gol in carriera con la maglia del Chelsea, e si apprestava a diventare il più grande bomber inglese di tutti i tempi. Fin dagli esordi fece sfracelli, tanto che a 17 anni, nel 1959, si laureò capocannoniere della First Division (l’attuale Premier League), con la cifra strabiliante di 32 reti. Un genio, dotato di un grande senso della posizione e fiuto del gol.
Anarchico, sregolato, estroverso, le avventure extra campo erano numerose come le sue prodezze in area di rigore. Ma nei deboli Blues dell’epoca si sentiva sprecato, non erano rare le sconfitte per 6-5 o 5-4 nonostante le sue triplette. Il direttore tecnico del Milan Gipo Viani si innamorò di lui e convinse il presidente Rizzoli ad assicurarsi il giovane fenomeno per 70 mila sterline, mettendolo a disposizione del Milan di Nereo Rocco.
“Al tempo l’Italia era come una miniera d’oro, mi trasferì a Milano principalmente per fare soldi”, confessò anni più tardi Greaves. L’avventura nel Diavolo cominciò subito con il piede sbagliato: la moglie di Jimmy, Irene, stava aspettando il secondo bambino, e lui preferì restarsene a Londra per aspettare la nascita e ritardò l’arrivo in rossonero. Per tutta risposta il Milan lo multò 50 sterline per ogni giorno di assenza, fino a quando si aggregò al gruppo rossonero nei primi giorni di agosto.
Al Milan, Greaves si scontrò contro il regime ferreo di Nereo Rocco, che sarebbe diventato la sua nemesi nei pochi mesi che passerà in Italia. Il ritiro prestagionale lo fece impazzire: “Ci era vietato lasciare l’hotel, Rocco ordinava cosa dovevo mangiare e poi si sedeva vicino per controllarmi se mangiavo. Ci consentiva appena due sigarette al giorno…”, il ricordo di Greaves nella sua biografia. Durante le sedute tattiche l’inglese mostrava segni di insofferenza e la sua anarchia in campo rese molto difficile la convivenza con l’altra stella della squadra José Altafini.
“Rocco gridava tutto il tempo, i giocatori erano spaventati da lui. Una volta, nel corso di un allenamento, mi scoprì al bar del campo di allenamento mentre sorseggiavo una birra e fumavo una sigaretta, e andò su tutte le furie. Un grande allenatore, ma anche un pazzo furioso”. Ovviamente il sentimento era corrisposto dal leggendario tecnico triestino: “Va tutto bene quando è facile. Quando c’è da soffrire, lui salpa per la sua isola…“.
Oltre alla disciplina imposta dal Paron, l’ex Chelsea faticò a digerire il calcio italiano a causa del gioco difensivo: il suo stile di gioco e il catenaccio di Rocco erano come acqua e olio: in ogni partita toccava pochi palloni e venne subito preso di mira dalle difese avversarie. Nonostante queste difficoltà, il suo avvio di campionato fu travolgente, con 9 reti segnate in 10 gare (anche se 4 su rigore).
Ma il rapporto con Rocco arrivò presto al punto di rottura: dopo aver scoperto che Greaves si concedeva qualche bicchiere di troppo, fu guardato a vista dal club rossonero. Una sfuriata negli spogliatoi alla vigilia della partita con la Juventus fece saltare definitivamente il banco: fu messo fuori rosa e rispedito in Inghilterra, al Tottenham, per 99.999 sterline, record assoluto mai pagato da un club inglese. Al suo posto arrivò il brasiliano Dino Sani.
Con gli Spurs Greaves riprese da dove aveva interrotto con il Chelsea: si consacrò come il più grande bomber inglese, vincendo due FA Cup, una Coppa delle Coppe e la Coppa del Mondo nel 1966 e diventando l’attaccante più prolifico di sempre nella prima divisione.
Anni più tardi Greaves descrisse così il suo “inferno italiano”: “L’Italia è il più bel Paese del mondo, pieno di persone fantastiche, ma tutto cambia quando giocano a calcio, diventano cinici e ostili. Credo che vedano il calcio come una rivisitazione dei cristiani contro i leoni… con noi attaccanti dalla parte dei cristiani”.
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