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Juve, tempo di bilanci: se Conte era il Gladiatore, Allegri è Tafazzi!
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10 anni agoon
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RedazioneQuando la notizia dell’approdo di Massimiliano Allegri sulla panchina della Juventus in sostituzione di Antonio Conte cominciò a diffondersi, prim’ancora d’essere ufficiale, il sottoscritto già prefigurava nella propria mente impaurita, le inevitabili conseguenze oscure e imprevedibili, di una scelta tanto avventata, per non dire scellerata, da parte di tale Andrea Agnelli.
Non soltanto perché mi sarei augurato di vedere alla Juve un allenatore diverso dal caro Max, ma soprattutto perché il suo predecessore, così diverso e così pervicacemente vincente, lasciava in dote un’eredità assai ingombrante, quasi claustrofobica, soffocante. Tre scudetti consecutivi e due Supercoppe di fila sono un termine di paragone scomodo e inevitabile, con il quale si deve imparare a convivere perché da esso non si può sfuggire.
È la dura legge dei numeri, inflessibile, spietata. I numeri non mentono, mai. E i numeri dicono che la Juve di oggi, rispetto a quella di un anno fa, ha 4 punti in meno in campionato e una Coppa in meno in bacheca. Altrettanto vero è che, come Allegri sostiene, la sua squadra è prima in classifica a +3 sulla Roma, ma lo era pure un anno fa, e tra le prime 16 d’Europa, al contrario invece di un anno fa.
Il primo posto in Serie A non è una medaglia che Allegri possa appuntarsi sul petto, dal momento che ha a disposizione la rosa di gran lunga più competitiva e attrezzata del torneo, impreziosita dai vari Tevez e Pogba, un lusso oggi per i tristi standard del nostro campionato. Allo stesso modo, il superamento della fase a gironi della Champions League non è un’impresa straordinaria per un club ambizioso e blasonato come quello bianconero, anzi, era un atto dovuto, niente di più.
Dovuto pure da Conte che però dodici mesi fa non c’era riuscito, ma ciò non attribuisce un merito ad Allegri, semmai un demerito a chi lo ha preceduto. Che il caro Max si appelli al primo posto in campionato e alla qualificazione agli ottavi di Champions per difendere la bontà del proprio lavoro è la dimostrazione abbagliante e al tempo stesso incontrovertibile della sua profonda inadeguatezza a una dimensione che non gli appartiene.
Allegri evidentemente non ha ancora compreso cosa la Juve sia, cosa rappresenti e soprattutto cosa significhi esserne l’allenatore, perché certe dichiarazioni mal si sposano, peggio cozzano, con la storia e la tradizione di un club in cui vincere non è importante, è l’unica cosa che conta. Trovarsi al comando in Serie A dopo 16 giornate e aver raggiunto gli ottavi in Europa non vuol dire aver vinto lo scudetto, tantomeno aver alzato al cielo la Champions, non significa niente.
Vincere la Supercoppa invece sarebbe significato aggiungere alla già ricchissima bacheca bianconera un altro trofeo, il primo della stagione, il primo per Allegri, ma l’attimo è fuggito e ciò che di quell’attimo rimane è l’immagine grigia di una squadra che sembra aver perduto quella fame che sapientemente e rabbiosamente Antonio Conte aveva saputo alimentare. Grigia perché il grigio è una sfumatura di quei colori, il bianco e il nero, che ad Allegri non appartengono.
Ma il grigio non appartene alla Juve, perché sta nel mezzo, è luogo sospeso, una terra dove la Juve non vuole e non può stare. Quel che di Allegri tutti in principio avevamo apprezzato, ossia quella capacità di entrare in punta di piedi, aggiustando e non rivoluzionando il lavoro del suo predecessore, si è oggi tramutata in una forza occulta che dall’interno sta divorando l’immagine della vecchia Juve, restituendone una diversa e irriconoscibile.
Allegri ha normalizzato una squadra che faceva dell’anormalità il proprio punto di forza, ha spento il sacro fuoco che Conte aveva acceso e sempre rinvigorito. Chi affrontava la Juventus di Conte sapeva che sarebbe stato quasi impossibile domarla e batterla, chi affronta oggi la Juve di Allegri sa che non soltanto è possibile ma addirittura probabile, perché contro questa Juve si può sempre rientrare in partita, anche quando si è sotto.
La Vecchia Signora azzannava rabbiosa la preda e la finiva senza pietà prima che potesse sottrarsi al suo destino, quella nuova invece graffia ma non ferisce, colpisce ma non affonda e quando il tuo avversario è alle corde e non lo butti giù, poi magari al tappeto ci finisci tu.
Se la gara con la Samp non fosse servita da monito, di nuovo ieri sera, tutti in attesa, in una posizione assai scomoda, che l’equilibrismo circense di Allegri, tra il coraggio di risolvere la partita e la paura di fare le scelte giuste, restituisse ai nostri occhi l’ormai appannata visione di una Juventus con il coltello tra i denti, ci siamo ritrovati invece a vedere Padoin, mica Baggio, calciare in bocca a Rafael il penalty decisivo e consegnare la Supercoppa al Napoli.
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