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Editoriale – Dai campi di calcio agli orrori della “guerra santa”
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11 anni agoon
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RedazioneLo spettro del fondamentalismo islamico penetra nel mondo del calcio nella triste storia di Burak Karan (26 anni), ex promessa del calcio tedesco, morto sotto le bombe in Siria l’11 ottobre 2013. Chi era davvero Burak Karan? Che cosa lo ha spinto a lasciare le luci di una’onorevole carriera sportiva per gettarsi nelle tenebre della guerra santa?
Da stella nascente a stella cadente. Da ragazzo, Karan era stato selezionato per le nazionali giovanili tedesche: in ritiro con Kevin Prince Boateng, con Sami Khedira, gente che oggi milita ai massimi livelli in Europa. Di nazionalità tedesca, ma di origini turche e di religione musulmana, Karan è stato un astro nascente del calcio tedesco: giocatore dell’Amburgo e dell’Hannover ‘96, ha collezionato una manciata di presenze tra Under 16 e 17. Poi il bivio nella sua giovane vita. Addio al calcio e partenza verso la guerra.
Parabola discendente. Il fratello Mustafa, intervistato dalla Bild, racconta l’inspiegabile svolta di Karan. Pian piano si avvicina ai movimenti jihadisti. Dapprima inizia raccogliendo fondi, poi fa il grande passo nel 2008, a soli 21 anni: prende moglie e due figli, di tre e dieci mesi, e si sposta in Turchia, la sua terra d’origine. Regione di confine con la Siria, l’accesso più veloce alla “zona di guerra” per un europeo. Lì troverà la morte, lo scorso 11 ottobre, combattendo per sovvertire il regime di Assad.
Fondamentalismo islamico. Non si sa molto di Karan dal 2008 in poi. Di lui è rimasto un video su Youtube che lo descrive come un combattente della Jihad e delle foto in cui imbraccia mitra con intenzioni niente affatto pacifiste. Kevin Prince Boateng, suo ex compagno nelle giovanili tedesche, lo ricorda via Twitter: “Riposa in pace, non dimenticherò i tempi passati insieme. Eri un vero amico. Quello che è successo dopo non lo so e non posso verificarlo“.
Dal campo di calcio al campo di battaglia. Non è facile commentare la parabola esistenziale di Burak Karan. Senza cadere nella facile retorica, possiamo dire che l’estremismo religioso ha avuto la meglio sulla ragione in questa triste vicenda che riaccende, seppur su piccola scala, il problema del conflitto culturale ( e militare) tra mondo occidentale e mondo islamico. Si realizza, nella biografia dell’ex calciatore turco-tedesco, quella deriva pericolosa che vorrebbe rendere impossibile la comunicazione tra blocco occidentale e blocco islamico. Abbiamo ancora tutti negli occhi le immagini di Ground Zero (11 settembre 2011) per dimenticare la spirale di violenza e di “non-senso” che il fondamentalismo (di qualsiasi ispirazione o colore politico) lascia storicamente dietro di sé. E’ difficile inoltre commentare il passaggio da due sfere così diverse e antitetiche: da un lato il calcio e lo sport in generale con tutti i valori di correttezza, fair play, fratellanza e lotta al razzismo; dall’altro la guerra santa, che a noi ricorda tante brutture di una storia buia, fatta di cecità, intolleranza e pregiudizio. Ci auguriamo perciò, archiviata questa brutta storia, che il calcio rimanga un veicolo (e un modello) di dialogo interculturale e di civiltà e che possa contribuire a illuminare un futuro migliore.
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