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Editoriale Inter – Gli esami non finiscono mai
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11 anni agoon
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RedazioneQuanto aveva ragione Eduardo De Filippo che nella sua celebre commedia paragonava la vita a un esame ricorrente, infinito, da dover sostenere continuamente per andare avanti e barcamenarsi alla meglio. Quante similitudini col calcio, col nostro caro campionato di Serie A, e ancor più nello specifico con quest’Inter targata Mazzarri che nel suo imperterrito percorso di maturazione non sta facendo altro che sostenere esami. Ma è fin troppo ovvio e naturale che sia così poiché ogni processo di maturazione esige i suoi plurimi esami di maturità.
Come con Juventus e Fiorentina non era stata una promozione a voti pienissimi, così con la Roma, nonostante il risultato eloquente farebbe pensare il contrario, non si tratta di bocciatura tout court. Già, perché a ben guardare l’Inter è stata punita ma non surclassata, è stata colpita a morte ma non dominata. C’è una bella differenza. L’analisi dei dati parla chiaro: arrotondando per difetto, 60% di possesso palla nerazzurra contro 40% della Roma, 12 tiri totali contro 8 (5 nello specchio per entrambe), 10 corner a favore dell’Inter contro i 2 dei giallorossi. Certo, i numeri hanno un valore relativo, indicativo, poi alla fine vince sempre chi riesce a scagliare il pallone in fondo alla rete, e lì i conti si fanno davvero presto. Però i numeri raccontano dei fatti e i fatti rivelano delle oggettività. L’Inter ha giocato la sua partita. Con armi decisamente ed evidentemente meno affilate della Roma perché se alla Roma per arrivare in porta servono 5 tiri e su questi 5 tentativi totalizza 3 centri significa che l’attacco giallorosso possiede un’artiglieria davvero pesante.
Il rigore realizzato da Totti sul finire del primo tempo è frutto di un episodio. Una valutazione oggettivamente errata da parte di Tagliavento e dei suoi collaboratori poiché il fallo di Pereira inizia fuori area. Un episodio che però è inappellabile e non restituisce la visione d’insieme che narra di una Roma, lei sì, matura, pronta per lottare ai vertici della classifica e che con questa leadership temporanea dimostra di poter andare molto lontano. Vero che alla Roma “one shot one kill” al Meazza riesce tutto e che l’Inter con Guarin ha provato addirittura a fermare il tempo e il mondo disintegrando letteralmente la porta di De Sanctis con quel colpo di bazooka lasciato partire qualche minuto dopo il vantaggio romanista. “Episodi” ha declamato lo stesso Mazzarri. Episodi che però la Roma ha fortemente voluto e costruito. La Roma che ha inanellato una serie vincente di sette match e che partita dopo partita è giunta a ciò che nel calcio conta di più: il controllo dello spazio. Non già della palla. La Roma, complice l’immaturità delle squadre avversarie, Inter compresa, è riuscita ad aprirsi praterie nella fase offensiva e a chiudere ermeticamente ogni millimetro quadrato di campo in quella difensiva. La Roma di Garcia, pur avendo la stessa “filosofia verticale” di Luis Enrique e di Zeman, riesce a fare ciò che fino ad ora non era riuscito allo spagnolo e al boemo: controllare il gioco nello spazio, non nel tempo. Controllare la palla nei momenti decisivi, grazie appunto alla gestione degli spazi, non lungo un’ampia percentuale di tempo inutile e inefficace (il 60% di possesso palla interista non ha prodotto nessun gol).
E tuttavia l’Inter non esce a pezzi da San Siro. Casomai con nuove consapevolezze. Una tra tutte, che occorre lavorare ancora tantissimo sulle dinamiche della fase difensiva. Il centrocampo deve chiudere più spazi: il pressing va fatto sullo spazio non solo e semplicemente sul portatore di palla (Sacchi docet). Gli errori difensivi di Ranocchia devono sparire. Però l’Inter – lo ripetiamo – questa battaglia se l’è giocata fino alla fine mettendo in chiara evidenza elementi sconosciuti per la quasi totalità della scorsa stagione (per non dire delle precedenti post-triplete): un’identità di squadra, un gioco e un orgoglio. I tre schiaffi rimediati in casa possono solo servire ad accelerare questo processo di maturazione in atto, suscettibile di altri esami importanti che si chiamano Torino (alla ripresa dopo la pausa) e Udinese (il 3 novembre prossimo), ovvero squadre che giocano un calcio offensivo, che sanno fare male nelle ripartenze pur non avendo in organico un’arma non convenzionale come Gervinho e contro le quali occorrerà ri-misurare nuovamente lo stato delle cose (augurandosi in avanzamento) nel sistema difensivo di Mazzarri, anche al netto – proprio come con la Roma – di un grande e importante agente stabilizzatore del calibro di Campagnaro.
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