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Editoriale Inter Le due fasi dello specchio
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11 anni agoon
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RedazioneMassimo Moratti, il garante della continuità di questa nuova IndoInter, il collegamento naturale e inalienabile tra il vecchio e il nuovo, lui che è emblema indelebile dei 16 successi in altrettanti titoli vinti in 18 anni di presidenza nerazzurra, è seduto ancora lì, nella sua cara vecchia tribuna del Meazza, contemplatore e al contempo controllore di questa nuova creatura, ma soprattutto innamorato cronico, ad vitam, della sua sola unica squadra.
Lo ritroveremo spesso – magari non sempre in quella adorata postazione, incroceremo lo sguardo a volte severo, a volte gioioso, sempre attento, più del tifoso che del presidente, con quel pizzico di nostalgia canaglia nell’attesa che si presentifichi l’autore di questa fino a qualche anno fa impensabile palingenesi: Erick Thohir.
L’occasione è quella della 9a giornata di campionato che vede affrontarsi proprio a San Siro Inter e Hellas Verona, con quest’ultima che precede i nerazzurri di un punto nella classifica generale. Altra sensazione di canagliesca nostalgia che rimanda a una sfida dai sapori lontani, ora che gli Scaligeri ritrovano i gloriosi scenari della Serie A dopo lunghi anni trascorsi nella serie cadetta e in Lega Pro, una sfida dal retrogusto tipicamente eighties e precisamente in quell’anno di grazia veronese 1984-85 durante l’irripetibile stagione dello scudetto gialloblu.
La tenacia e l’orgoglio di Mazzarri come quelli di Castagner, l’intelligenza tattica di Mandorlini come quella di Osvaldo Bagnoli, e poi da una parte Palacio e Altobelli uomini da area di rigore, goleador di razza purissima, dall’altra Fontolan e Fanna instancabili motori di un calcio libero,largo, alare come non si era quasi mai visto, e ora Martinho, Iturbe a ricordarne un po’ velocità e fantasia. C’erano anche Andrea Mandorlini e Kalle Rummenigge in quell’Inter targata ’85, ma in quel Verona là c’era pure gente come Elkjaer, Briegel, Tricella e Garella. Mica scherzi.
Tornando al futuro l’Inter, reduce da 3 gare senza vittorie con Cagliari, Roma e Torino dopo un ottimo inizio, contro il Verona deve ritrovare identità, continuità e risultati. Il percorso di crescita è tracciato e l’Inter si sta seriamente applicando nello studio per poter maturare e diventare grande squadra, ma numeri e prestazioni a partire dalla vittoria fortunosa e fortunata con la Fiorentina stanno rivelando ancora una preoccupante immaturità. Benissimo il primo segmento di partite con la serie di 4 gare iniziali con una sola rete subita, ma poi un totale di10 gol negli ultimi 5 match e già subito uno scroscio di perplessità sul questo iter di maturazione. Inutile appoggiarsi sul fatto che esistono alcuni giocatori chiave nell’architettura dell’Inter mazzarriana e che quando mancano è come se venissero meno i perni dell’impalcatura, le saldature dell’intera struttura. Hugo Campagnaro è uno di questi.
Succede come nella lacaniana “fase dello specchio” nella quale il bambino, ancora infante e inconsapevole di sé e del mondo, riconosce se stesso come unità indissolubile solo nel momento in cui vede la sua immagine riflessa nello specchio. Ecco, dopo che Mazzarri ha faticosamente rimesso insieme l’Inter in seguito alle macerie provocate dalla scorsa stagione, ricomponendone un’unità, articolando i pezzi uno per uno in una nuova configurazione modulare (il 3-5-1-1), rinsaldando dunque unità di squadra e di intenti, questa Inter ha potuto vedersi allo specchio, fermandosi, riflettendo a sua volta sulla sua immagine di squadra e su ciò che stava realizzando. Determinazione, convinzione, solidità e soprattutto gioco. Tutti elementi assenti nell’Inter 2012-2013.
Un’identità che ora esiste grazie a un’unità riconoscibile. Ma rimangono ancora tanti lati oscuri e tante ombre nel riflesso di questa immagine di squadra. E Mazzarri chiamato ancora una volta a un surplus di lavoro psicologico con quei giocatori che “narcisi” sono rimasti catturati e ammirati da questa fase speculare preliminare. La fase dello specchio serve per stabilire e consapevolizzare un principio di unità e identità, ma poi bisogna andare avanti e analizzare tutto ciò che manca per ottenere un’identità compiuta. Ad esempio i meccanismi difensivi ancora difettano, e tanto, se si considera la media di 2 reti subita nelle ultime 5 gare e soprattutto la natura di quelle reti, ingenue e evitabili, come le due messe a segno da Martinho e Romulo nel recentissimo 4-2.
Anche gli interni di centrocampo dovrebbero svolgere in maniera più coordinata le due fasi, soprattutto quella difensiva, mentre Cambiasso è ancora impegnato a tappare molte falle. Cali vistosi di tensione e un approccio alla gara come quello messo in evidenza col Torino marcano ancora una sensibile distanza dalla compattezza e solidità mentale di squadre come Roma, Napoli e Juventus. Anche le tre segnature generate da tre situazioni di palla inattiva contro il Verona, se da una parte denotano determinazione e buona cattiveria agonistica, dall’altra spostano l’ago della bilancia sulla responsabilità reale degli avversari in quelle occasioni da gol. In estrema sintesi: c’è ancora tanto su cui lavorare.
Kovacic inoltre, giovane e talentuoso com’è, può permettersi di giocare da trequartista o addirittura falso nueve, come va di moda dire oggi, ma risulta piuttosto evidente che non è quello il suo ruolo per esprimere e massimizzare il suo mostruoso potenziale. In primo luogo perché non è più abituato a giocare così avanzato da quando aveva 15 anni, poi perché è uno che ama portar palla e toccarla almeno una volta più del consentito in quella posizione e, concludendo, se gioca negli ultimi 20-25 metri di campo possiamo dire addio a tutte quelle poderose progressioni che lo hanno posto sotto i riflettori delle ribalte europee e planetarie.
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