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Editoriale Roland Garros – Cosa aspettiamo a chiamarlo Rey Nadal?
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10 anni agoon
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RedazioneNon troppi giorni fa gli spagnoli hanno dato prova della capacità di discernimento del momento in cui bisogna staccare la spina a un regno. Juan Carlos, il re che ha saputo respingere nel 1981 il tentativo di colpo di Stato da parte del Generale Tejero, ha abdicato: è stato ufficializzato il passaggio di corona sulla testa del figlio, il principe Felipe. Cambia poco, cambia molto in termini sociopolitici, a noi interessa relativamente; rileva spiegare, invece, che un altro regno spagnolo (questo legale e sospinto dagli aficionados della parente della loro pelota) non promana segni di cedimento, anzi ultimamente si è rinvigorito. Nella fattispecie Rafael Nadal è il monarca e i sudditi sono gli tutti altri che provano a fermarlo sulla terra rossa. Anzi, roja!
Il mancino di Manacor è entrato nella storia col nono Roland Garros conquistato in dieci finali, un primato che in passato qualcuno avrebbe già potuto stabilire se si fosse evitata quell’assurda discriminazione fra professionisti e dilettanti. Rafa diventa, così, l’unico giocatore ad aver sollevato più volte di tutti il medesimo titolo Slam: una sinfonia allestita dal suo uncino anomalo che di partita in partita è migliorato di forza e precisione. Ha battuto tutti senza problemi, Nadal: è giunto in finale avendo lasciato per strada un solo set al suo amico David Ferrer, e solo adesso capiamo che fu captatio benevolentiae. Un rullo che ha schiacciato chiunque provasse a ostacolargli il terreno, fino a far piangere di rabbia Novak Djokovic.
È stata una finale mediocre in un torneo ordinario, avaro di emozioni: capita spesso di ricordare almeno una partita memorabile in uno Slam, non necessariamente la finale. Il Roland Garros appena archiviato ci ha lasciato con questa pecca, nessun match da tramandare (dal puto di vista dei contenuti l’unico a ergersi è Federer-Gulbis, semplicemente perché il Rapace è la rivelazione del torneo). Peccato. La finale femminile è stata ricchissima di errori, quella maschile degna di una consumata comparazione con un incontro di pugilato: Nole e Rafa si davano battaglia con una frequenza di scambi davvero alta, molto spesso superando i venti palleggi in un contesto climatico subsahariano. Difatti il serbo accusava per primo la spossatezza del caldo parigino, i suoi servizi calavano d’intensità e permettevano a Nadal di avere più tempo per spostarsi sul dritto.
Stranamente lo spagnolo ha totalizzato più vincenti di Djokovic (44-43), statistica desumibile dall’acume tattico del n.1 al mondo: insisteva col dritto lungolinea, la palla andava a infilarsi sempre nella zona di campo che Nole usa per tirare il suo schiaffo da centrocampo, magari girando attorno alla palla indirizzata sul rovescio. Uno schema efficace che gli ha concesso di prolungare il (monotono) regno di Parigi strappando in ognuno di noi una banalissima domanda: chi meglio di Nadal sul rosso? Forse solo Björn Borg che lo ha premiato.
Alessandro Legnazzi (Twitter: @lusciandru)
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