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Editoriale Sochi – Fontana, l’implacabile!
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11 anni agoon
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RedazioneSe nelle Olimpiadi in corso non avessimo avuto Arianna Fontana, staremmo certamente parlando di spedizione fallimentare. Quantomeno nella prima settimana. Il medagliere azzurro si appesantisce con il bronzo della biondissima atleta nei 1500 metri dello short track, la massima distanza di questa disciplina che necessita tanta esplosività nelle gambe: in finale Arianna è stata perfetta quando ha saputo resistere all’azione stritolante di due coreane e una cinese – più attrezzate muscolarmente di lei – e dalla campionessa europea in carica, Joriem Ter Mors. Al quarto dei tredici e mezzo giri previsti Fontana balza al comando con un’incursione esterna e fortunatamente non viene coinvolta nella caduta di tre atlete: la selezione così fatta, in quel momento aumentava le chance di medaglia, quattro atlete per il podio. A due tornate dal termine la cinese Zhang Yang mette il turbo e dalla prima posizione non la scalza più nessuno, Arianna resiste all’assalto talebano dell’olandese e ci fa sognare! Quinta medaglia per l’Italia!
Se nelle Olimpiadi in corso non avessero avuto Anna Fenninger, in Austria avrebbero già aperto dei processi pendenti sullo squadrone biancorosso. La talentuosa sciatrice salisburghese trionfa nel SuperG che passerà alla storia come il più ridotto in termini di atlete giunte al traguardo, appena trentuno delle quarantanove partite al cancelletto di partenza. Un’ecatombe, una strage di partecipanti, alcune di esse quotate come Lara Gut, Tina Maze, Elisabeth Görgl e l’oro di discesa Dominique Gisin; altre quattordici di esse cascano, inforcano o escono (fra le prime otto a scendere solo la statunitense Smith taglia l’arrivo). Colpa della neve ammorbidita dal sole che non consente allo sci di tenere le linee più aderenti alle porte e, soprattutto, del percorso tracciato dall’allenatore austriaco Florian Winkler: solo un pazzo poteva piazzare sei porte molto chiuse in partenza, apertura nella parte centrale e altro ritorno stretto nel finale col muro in salto più cinque cambi di direzione tremendi. Non si fanno ingannare Maria Riesch, argento (quarta medaglia olimpica per la tedesca), e Nicole Hosp, bronzo.
Se nelle Olimpiadi in corso non ci fosse stato Usa-Russia nell’hockey, non saremmo testimoni di un altro episodio di questa rivalità da colossal. I russi cercavano vendetta dopo lo smacco del 1980, Giochi olimpici di Lake Placid, episodio che merita d’essere ripassato. Gli Stati Uniti giunsero in finale con una squadra imbottita da universitari e dilettanti, ben pochi di loro potevano vantare un contratto con l’NHL; l’Unione Sovietica, invece, era il team favorito per la vittoria finale avendo fra le sua fila giocatori sulla carta “dilettanti” ma in verità assoluti professionisti (il professionismo sportivo nel Blocco Sovietico non era ammesso). “Do you believe in miracles?”, credete nei miracoli, chiese ai suoi ascoltatori il cronista Al Michaels alla sirena finale: “Yes!” rispose. Quello fu il celebre “Miracle on ice”, il miracolo sul ghiaccio. Otto Olimpiadi dopo molte cose sono cambiate, il Blocco è crollato e l’URSS si è dissolta: ciò che resta sono gli statunitensi dell’hockey, Bolshoi Arena muta come Vladimir Putin a fine gara.
Alessandro Legnazzi (Twitter: @lusciandru)
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