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GARBAGE TIME – San Antonio è campione NBA: il bilancio della stagione 2013/2014 e non solo..
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11 anni agoon
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Un antico detto cinese, probabilmente estratto dall’innumerevole produzione filosofica del ‘Grande Maestro’ Confucio, recita: “Siediti lungo la riva del fiume e aspetta: prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico”.
All’interno di un café, intorno a qualche buon bicchiere di vino e qualche tacos, lungo la stupenda San Antonio River Walk (o ‘Paseo del Río’, per dirlo alla spagnola), i San Antonio Spurs, stanno osservando scorrere sulle placide acque del San Antonio River, il “cadavere” (ovviamente cestisticamente parlando) dei Miami Heat. Non più tardi di un anno fa, lungo quelle stesse acque, all’interno del medesimo caffè, con molto più vino (per dimenticare) e molti meno tacos, l’incubo della tripla di Walter Ray Allen a 5 secondi dallo scadere di una storica gara 6 che avrebbe potuto riscrivere la storia di questo gioco, agitava i pensieri di Duncan, Ginobili, Parker e Popovich, insinuando il tarlo dell’inevitabile chiusa della fine di un’era.
Oggi, forse, di era ne è finita un’altra..
IL MOMENTO DEI BILANCI:
SAN ANTONIO SPURS: Sono anni che i texani vengono tacciati di essere vecchi, incompleti, finiti, ma quando è il momento di sollevare al cielo il Larry O’Brien Trophy è inevitabile dover fare i conti con loro. Per la 17esima stagione consecutiva sotto la guida di coach Pop, i San Antonio Spurs, hanno centrato l’accesso ai playoffs, conquistando il quinto titolo della propria storia su 6 finali NBA disputate. Questo successo è il coronamento di una cavalcata trionfale, iniziata ad ottobre nella gara inaugurale contro i Memphis Grizzlies e culminata solo con l’incredibile ed impronosticabile, in termini di proporzioni e risultato, rivincita sui grandi rivali dei Miami Heat. La forza di San Antonio, ancora una volta nasce da una gestione ed organizzazione dell’intero pianeta Spurs e di tutto ciò che vi gravita intorno senza eguali in nessun’altra franchigia professionistica americana.
Dal lavoro di scouting, allo sviluppo ed allo studio del gioco, dal legame con i propri tifosi e la propria gente, all’organizzazione degli impianti, dall’etica del lavoro, alla fiducia nei propri leaders in campo e fuori, dalla cura dei dettagli, allo sviluppo di un progetto che possa proseguire anche dopo il ritiro dei campioni del presente, non c’è niente che non si muova nella direzione retta ed opportuna. Per rendere l’idea del potenziale futuribile, di una squadra in grado ciclicamente di rinnovarsi e reinventarsi nel sistema di gioco e negli uomini, basti pensare al fatto che il premio di MVP delle Finals è stato assegnato (con merito) a Kawhi Leonard, un ragazzo che deve ancora compiere 23 anni e che è stato scelto nel 2011 con la chiamata numero 15 al draft. A prescindere da quella che sarà la decisione di Duncan, in merito al proprio ritiro, adesso è troppo presto per mettersi a fare dei calcoli, perchè, parafrasando una celebre frase del sedicesimo presidente americano Abraham Lincoln: “La cosa migliore riguardo al futuro è che arriva solo un giorno alla volta”.
San Antonio Spurs, godetevi la festa! VOTO: 10!
MARCO BELINELLI: Se solo un paio di anni fa qualcuno l’avesse pronosticato, sicuramente l’avremmo preso per pazzo, ma d’altronde si sa: “Solo l’incredulo ha diritto al miracolo”, ed il miracolo, infatti è successo: un italiano è campione NBA. Il primo a raggiungere questo straordinario ed insperato traguardo è Marco Belinelli, from San Giovanni in Persiceto, Bologna. Dopo 7 anni in NBA, trascorsi tra tanti alti, ma anche qualche basso, Marco si è oggi trasformato in un giocatore di ruolo, stimato ed apprezzato da tutti: compagni, allenatori ed addetti ai lavori. A San Antonio, sotto l’egido sguardo di Gregg Popovich, che in quanto ex agente della CIA tende a non fare sconti a nessuno, Marco si è ritagliato un ruolo importante nelle rotazioni e grazie alla sua incredibile abilità di tiro, e al sangue freddo che scorre nelle sue vene, è diventato uno dei “Clutch players” della squadra. Con un enorme lavoro svolto sulla mobilità e sulla lettura della partita, anche quelle lacune difensive che ne avevano condizionato i primi anni di carriera sembrano oggi, obiettivamente, soltanto un vecchio ricordo. L’anello NBA, sugella una stagione fantastica, condita da prestazioni maiuscole come quella del 2 gennaio, in cui ha realizzato un nuovo primato personale di 32 punti, e dalla tanto straordinaria, quanto mai inattesa, vittoria all’NBA Three-point Shootout in occasione dell’NBA All-Star Weekend 2014. Il primo “Anello” così come il primo Amore, non si scorda mai. VOTO: 10!
MIAMI HEAT: Bocciare una squadra giunta alle NBA Finals è, a mio avviso ingiusto, irragionevole, illegale, anche per chi di questi titoli avrebbe dovuto vincerne: “Not one, not two, not three, not four, not five, not six, not seven..”. I Miami Heat, alle loro quarte NBA Finals consecutive (impresa centrata prima che da LBJ, DWade e CB4, soltanto dai Celtics di Bill Russell e dai Los Angeles Lakers dello Show-time), cadono per mano dei San Antonio Spurs, la squadra che già l’anno scorso aveva messo i “Big Three” con le spalle al muro in gara 6, salvati soltanto dal genio che risponde al nome di Walter Ray Allen.
Stando alle indiscrezioni che trapelano da oltre Oceano, quella di ieri potrebbe essere stata l’ultima partita dell’era James, Wade e Bosh, un’era iniziata ufficialmente l’8 luglio 2010, quando il Prescelto, davanti ad una nazione paralizzata dalla magnificenza dell’evento, pronunciava: (“I’m going to take my talents to South Beach and join the Miami Heat”), le 15 parole destinate a cambiare per sempre il volto della lega.
Solo quattro anni più tardi, al netto di 2 Lary O’Brien Trophy, una finale gettata alle ortiche contro i Dallas Mavericks per un eccesso di narcisismo, ed un’altra mai davvero in bilico, è chiaro che la creatura perfetta nata dagli esperimenti e dal lavoro sottotraccia di Pat Riley, non può dirsi rispondente alle premesse iniziali, probabilmente anche a causa dell’altezza di un’asticella alzata colpevolmente oltre ogni limite dagli stessi Miami Heat. Nell’edizione 2013/2014, soltanto il Prescelto si è dimostrato all’altezza della situazione, cantando e portando la croce allo stesso tempo, non solo in stagione regolare, ma anche e soprattutto in questi playoffs, dove i problemi alle ginocchia di Wade e la mancanza di attributi di Bosh sono esplosi in tutta la loro evidenza. Peccato LeBron, “Unfortunately they did not follow your lead..” VOTO: 6
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