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GARBAGE TIME – Slam Dunk Contest: da Doctor J a “His Airness”, da Carter a Krypto-Nate!
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10 anni agoon
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RedazioneIl “Paradosso del calabrone”, elaborato per la prima volta negli anni 30 da un noto fisico svizzero dell’epoca, afferma che misurata la sua massa, l’apertura delle sue ali e la velocità con cui le muove, questi non dovrebbe essere in grado di volare. Il calabrone però, del tutto inconsapevole dei suoi limiti strutturali, riesce lo stesso a spiccare il volo.
Evidentemente a conoscenza di questo curioso fenomeno della natura, deve essere anche Nathaniel Cornelius “Nate” Robinson, l’unico giocatore nella storia della NBA ad essersi aggiudicato ben 3 edizioni della gara delle schiacciate, dall’alto dei suoi esplosivi, forse i più esplosivi di sempre, 175 centimetri di altezza o 5,9 piedi per dirla all’americana.
La storia dello Slam Dunk Contest, ha origini piuttosto recenti. La prima edizione risale all’intervallo dell’All Star Game della ABA tenutosi a Denver nel 1976 e vide trionfare, davanti a migliaia di fans in visibilio, un giovane Julius Erving, “Doctor J“, che tenendo la palla ben stretta tra le mani riuscì a staccare dalla linea del tiro libero realizzando, forse, la schiacciata più famosa ed imitata della storia del gioco. Non tutte le edizioni successive, ebbero però la medesima fortuna di quella inaugurale, al punto che la gara venne sospesa e successivamente reintrodotta solo nel 1984, ancora a Denver, città evidentemente fortunata per tutti gli aspiranti calabroni.
Negli ultimi 30 anni, diverse sono state le edizioni memorabili a partire dal quella del 1986 in cui Anthony Jerome “Spud” Webb, si aggiudicò il titolo di più “piccolo” vincitore della competizione grazie ai suoi 169 centimetri di altezza, al pari delle due successive che videro l’affermazione di Michael Jeffrey Jordan, unico fino a quel momento, a riuscire nell’impresa di aggiudicarsi il back-to-back e giustamente ribattezzato “His Airness” per l’occasione.
A dispetto di edizioni non troppo esaltanti nel corso degli anni 90, senz’altro unica, impareggiabile, forse irripetibile fu, invece, l’edizione del 2000, in cui a Oakland un giovanissimo Vince Carter mise in scena il più abbacinante sfoggio di talento, potenza e coordinazione nella storia della competizione. Il record di 149/150 punti mai più replicato da nessun’altro atleta è li a testimoniarlo e lo stesso Kenny “The Jet” Smith, unico giudice ad avergli assegnato un 9 dopo la seconda schiacciata, ammise in seguito di essersi pentito di avere rovinato la gara perfetta.
Gli anni 2000 videro poi il dominio di Krypto-Nate Robinson, personaggio iconico del basket contemporaneo, in grado anche di stoppare il 20 novembre 2006 il lunghissimo centro cinese degli Houston Rockets Yao Ming (229 cm). Nate vinse nel 2006 a Houston librandosi in aria e passando in elevazione sopra il vincitore della NBA Slam Dunk Contest 1986 “Spud” Webb. La replica nel 2009, quando di verde vestito si dimostrò l’unico in grado di arginare la strapotenza fisica di “Superman” Dwight Howard (211 cm), compiendo la più incredibile schiacciata cui io abbia mai assistito sorvolando, proprio come aveva fatto con “Spud” Webb tre anni prima, il centrone degli Orlando Magic. Nate completò poi il suo personalissimo three-peat l’anno successivo a Dallas in Texas davanti a Shannon Brown, Gerald Wallace e DeMar DeRozan, in un’edizione a dire il vero tutt’altro che memorabile.
Nato a Seattle il 31 maggio 1984, Nate Robinson non ha mai imparato a volare, ma a saltare quello si, e nel suo caso, i due gesti, sono sempre stati pericolosamente ed incredibilmente simili. D’altronde l’unico modo per poter provare a colmare la distanza che ti separa da un canestro che qualcuno ha posto, oltre 100 anni fa, troppo al di sopra di te, è quello imparare a saltare più in alto di chiunque altro.
P.S. Nonostante i suoi 175 centimetri di altezza, Nate Robinson è solo il quinto giocatore più basso della storia della NBA. Il primato spetta a Tyrone “Muggsy” Bogues con il suo 1,60 m di altezza seguito a ruota da Earl Boykins 1,65 m, da Anthony Jerome “Spud” Webb 1,69 m e dal giapponese dello Utah Wataru “Kilo Wat” Misaka, “alto”, addirittura, 1,70 m.
P.P.S. In realtà, accurati studi scientifici in materia hanno rivelato che la capacità di volare dei calabroni, così come per molti altri insetti, non è dovuta alla loro smisurata forza di volontà, come romanticamente ci piacerebbe pensare. L’insetto ha, piuttosto, trovato un modo per sostenersi nell’aria, sfruttando la turbolenza creata dal furioso sbattere delle sue piccole ali. I calabroni battono le ali verso il basso, quindi le ruotano verso l’alto, le ribattono verso l’alto e le ruotano di nuovo. I vortici creati da queste manovre fanno scorrere più velocemente l’aria nella superficie superiore dell’ala che in quella inferiore, creando una differenza di pressione che genera la portanza necessaria per mantenersi in volo.
Nonostante l’esaustiva spiegazione scientifica, mi auguro che a nessuno venga mai la malsana idea di informarli dei propri “piccoli difetti”.
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