Pazza Inter
Lo strillo di Borzillo – Adesso testa a casa nostra
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3 anni agoon
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RedazioneÈ stata una bella esperienza, una bellissima sensazione, una splendida nottata di Champions, una di quelle che ti riappacifica col gioco del calcio. È stata un’Inter a viso aperto, senza strane convulsioni, senza stravolgimenti, senza uniformarsi alla vulgata popolare per la quale mettiamo tutti dietro la linea della palla e cerchiamo di colpire ripartendo, evitando di lasciare spazi liberi e vuoti al Liverpool, che poi questi in campo aperto uno contro uno ti fanno male. Infatti i nerazzurri perdono per nuca di Firmino su calcio d’angolo, evitiamo di distribuire colpe dalle quali un paio dei nostri eroi non sono esenti, e per rimpallo fortuito della sfera – tu guarda gli dei del calcio, quando servono si girano sempre dall’altra parte – che finisce giusto giusto sul piede di Salah, conclusione telefonata sul palo di Samir ma, casualmente, palla che passa attraverso una selva di gambe, incoccia in quella di Brozovic e finisce beffardamente, a due all’ora, in mezzo alla porta.
Qui non è questione di tifo, è semplice constatazione della realtà: io, di grandi parate del nostro portiere, non ho traccia. Così come non ne ho di assedi presunti dei Reds, bravissimi a sfruttare due situazioni sporche trasformandole in gol. Hey amigo i campioni sono così, direbbe un noto puntero cileno, ieri leggermente sottotono ma poco importa. Certo, la cronica indolenza dell’ultimo quarto d’ora comincia non tanto a preoccupare quanto, piuttosto, a far girare le palle. Poi però lasci da parte la questione tifo e ti limiti a fare il lavoro che devi svolgere, raccontare i fatti. Veri o presunti, per qualcuno, perché non esiste cosa più volatile e variabile del calcio: ciascuno ha la propria lettura, ciascuno la propria visione, ciascuno la propria idea. E non sempre, anzi spesso, ti trovi a collimare con tizio o caio. Ma ci sta, è il condimento di questo sport, il succo, il suo sapore così diverso dalla maggior parte degli altri giochi di squadra.
Quindi, analizzando o cercando di farlo, la prima cosa che salta all’occhio, questa davvero incontestabile, è la frequenza quasi maniacale con la quale l’Inter riesce a complicarsi la vita. Più o meno sempre nello stesso modo, più o meno sempre nello stesso spazio temporale. Se capita una volta è casualità: due qualche domanda inizi a portela: tre Houston abbiamo un problema. Ma un problema facilmente decifrabile, inutile girarci intorno: mercoledì sera, intorno al minuto sessanta, più di mezz’ora alla fine, Jurgen Klopp si è girato verso la sua panchina, ha rimuginato tre secondi poi, col ditino, ha indicato Firmino, Diaz, Henderson, Keita. Quattro tizi che sarebbero, non potrebbero essere, titolari senza se e senza ma in una qualunque delle cosiddette “grandi” del calcio italiano.
Simone Inzaghi – al quale un giorno domanderò per quale motivo Dzeko deve restare in campo obbligatoriamente novanta minuti anche quando in palese difficoltà, forse ci sarà una clausola nel contratto del tecnico nerazzurro – si è girato anche lui. Ecco, si è girato. Punto. Perché il problema sta lì, nella qualità di una panchina completata da altri titolari e una dove stanno seduti buoni giocatori, adatti senza dubbio per lottare nel campionato indigeno, l’Europa è altro, domando scusa che non si offenda nessuno. Comunque a Liverpool andiamo a giocare, a divertirci, senza nulla né da perdere né da dimostrare: siamo un’ottima squadra, sappiamo – anzi sanno – di esserlo, il destino dello scudetto è solo ed esclusivamente nelle nostre mani. Testa e cuore al campionato. Per la Champions ripassiamo l’anno prossimo.
Ad maiora.