Pazza Inter
Lo strillo di Borzillo – Un po’ dinamite, un po’ scintilla
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3 anni agoon
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RedazioneCosì finisce in pareggio una partita folle, pazza, assurda, appassionante, bellissima. Perché di questo stiamo parlando. Di quella roba chiamata spettacolo, che è la tua aspettativa quando parti per andare allo stadio. Le partite sono spettacolo, i calciatori vengono strapagati proprio perché, si racconta, offrono spettacolo. In cambio di sonanti monete, gratis oggi non si fa più nulla.
Finisce in pareggio, dicevamo. Per meriti e demeriti dei ventidue in campo, più le riserve. La partenza nerazzurra è stile Mike Tyson degli anni belli: duecento all’ora, scambi al fulmicotone (volevo scrivere fulmicotone da sempre, l’ho fatto finalmente), ricerca della profondità, palla vagante per il campo a duecento all’ora. Fino al gol capolavoro, perché di capolavoro è giusto parlare, della nuova faccia nerazzurra da affiancare ai Barella, agli Skriniar, forse a pochi altri senza cadere nel romanticismo che poi ti ritrovi uno deciso a cambiare squadra andando in quella per cui tifava fin da neonato. L’Atalanta, in tutto ciò, non è ancora pervenuta, ancora intenta ad allacciarsi le stringhe degli scarpini negli spogliatoi. L’Inter continua ad arrembare, conquista e riconquista palloni su palloni finché Lautaro, sei sempre tu Lautaro (a proposito ottimo l’arbitraggio di Maresca e se fa bene va detto, cribbio), non mette il novello compagno di reparto solo davanti al portiere. Ma Dzeko, morso dal non voler infierire su un nemico fino a quel momento praticamente inesistente, si commuove e sbaglia un controllo che definire elementare è un insulto per il termine elementare. Da lì, improvvisamente, si spengono i lampioni dell’impianto. Solo per l’Inter, precisiamo, gli altri cominciano a macinare gioco, trame divertenti, esprimendo una coralità che non si vedeva, in casa orobica, da tempo. Tomo tomo cacchio cacchio la Dea si avvicina sempre più alla porta di Handanovic e, giustamente, pareggia: gran tiro dai venticinque metri, forse Samir non vede partire il pallone ma, dal mio punto di vista, A) è troppo vicino al suo palo e non può coprire la porta e B) reagisce in maniera tardiva. Comunque dai, rimbocchiamoci le maniche e ripartiamo. Invece, a ripartire, è ancora l’Atalanta mentre noi (uso il noi perché sembravano me nei peggiori momenti) sbagliamo la qualunque, compresi appoggi elementari a un metro di distanza. Sicché, spingi e corri, gli ospiti ripassano: gran tiro dalla distanzissima, Samir si contorce come morso da un cobra reale, respinge malissimo, in mezzo all’area, dove c’è Toloi solo soletto. Gol e ripartiamo. No, per fortuna c’è ancora poco da giocare, meglio andare negli spogliatoi. Non so se a bere un tè caldo o freddo, di sicuro a parlare, ce n’è bisogno.
Simone non cambia nulla e i primi dieci minuti della ripresa seguono la falsariga dei primi quarantacinque, con l’aggiunta di un paletto interno bergamasco mentre Handanovic guarda. Simone adesso cambia, per forza. E i cambi portano nuova linfa. L’Inter pareggia cercando ostinatamente la vittoria, mentre gli ospiti si limitano, eufemistico, a ripartire e ogni volta che passano la metà campo ti si torcono le budella. Mancano cinque minuti, Maresca fischia rigore, sacrosanto. Tutti si allontanano fischiettando dal dischetto e Simone ordina, racconterà sempre Simone, a Di Marco di prendere il pallone e tirare. Il giovanotto obbedisce colpendo, disgraziatamente, la traversa. Inutile stare a discutere e sul rigore, e sul perché a calciarlo si debba mandare un ragazzino con tante vecchie volpi in campo. Questi sono problemi e decisioni dell’allenatore che, evidentemente, ha il polso della situazione del momento mentre noi no. Il gol annullato all’Atalanta è figlio di un calcio d’angolo non visto dall’assistente di linea e corretto immediatamente da Aureliano, bravo anche lui sabato pomeriggio. Finisce pari.
L’Inter ha mostrato palle e carattere, pur essendo incappata in una serata poco fortunata non ha mollato di un centimetro. C’è da lavorare assai, ma molto assai che anche se non rientra nell’italiano puro rende meglio l’idea. Il gioco si vede, dire il contrario è non corretto: ci sono ancora troppi passaggi a vuoto che nemmeno un petardino, altro che dinamite e scintilla.
Adesso testa e cuore alla Champions: lì, i passi falsi, si pagano. Carissimi.
Alla prossima.
Gabriele Borzillo